giovedì 23 agosto 2012

Che cos’è la solitudine?
E’ difficile rispondere perché, almeno per quanto mi riguarda, è una condizione legata a tanti fattori. Non importa se sono circondato da persone che mi vogliono bene, e che non perdono mai l’occasione di dimostrarlo. E’ una solitudine interiore la mia, una compagna di vita costante, che si fa piccola e si nasconde nei momenti spensierati, e poi riaffiora in superficie quando trova il giusto nutrimento, come un pesce affamato alla ricerca di cibo. Quel nutrimento che, negli ultimi due mesi, è arrivato in abbondanza (ne parlerò nel prossimo post). Non c’entra la condizione fisica che mi accompagna da ormai quindici anni, o meglio in parte sì, ma è solo una conseguenza che recita un ruolo di minore importanza. Passo giornate intere a riflettere, analizzare, cercare le precise motivazioni del malessere, ma non faccio altro che aumentare la confusione. Forse ora è colpa dell’estate. Un’estate passata in casa a combattere contro eventi inaspettati; un’estate senza sabbia, senza bagni salati purificanti, senza sole che ricarichi le batterie consumate dall’inverno; un’estate senza tramonti, senza colori, senza vento; un’estate in cui il frinire delle cicale e il profumo delle piante bagnate, amplifica il dolore. L’estate che illumina ogni cosa, ma che questa volta mi ha mostrato il suo lato più oscuro. Forse è colpa dei sentimenti che, quando meno te l’aspetti, ti avvolgono e ti consumano. Quelli legati al passato, che la malinconia di passaggio risveglia, e quelli presenti, quando desidero che qualcuno mi guardi con occhi diversi. Gli stessi occhi con i quali mi guardava poco tempo fa, ma che non ho saputo cogliere al momento giusto, e ora sembrano spenti e ciechi di fronte ai miei sforzi per farmi notare di nuovo. E allora vorrei avere il potere di tornare indietro per porre rimedio agli sbagli incautamente commessi, vorrei mi fosse concessa la possibilità di sentire quello sguardo nel cuore, così come vorrei sentirlo adesso. A pensarci bene, le scoperte fuori tempo fanno parte della mia vita e della mia essenza da sempre. Potrei farne un lungo elenco. Faccio del mio meglio per rendermi conto quando mi trovo di fronte qualcosa di importante, ma succede sempre che me ne accorga dopo, quando è troppo tardi. Anche questo aspetto alimenta la solitudine che mi blocca, come fossi incastrato nelle chele di un granchio. Ed è qui che si manifestano le immagini della mia vita passata: la libertà e l’indipendenza perdute, la voglia di far vedere tutto quello che so fare, ma che questo corpo immobile rinchiude come fosse una gabbia. Un tuffo in piscina, una nuotata solitaria, un’immersione notturna dentro quel mondo liquido e ovattato del quale sento un’incolmabile mancanza. Pensieri stupidi, lo so, ma non riesco a tenerli sempre chiusi in un cassetto. E la solitudine aumenta, senza alcun possibile rimedio. Sono sempre gentile con tutti. Ascolto con attenzione, assorbo e aiuto a risolvere – per quanto possa – i problemi degli altri, come è giusto che sia. Mi diverto e condivido momenti spensierati. Ma in realtà sono assente, e forse dovrei esserlo davvero. Mi sento diverso dagli esseri umani che mi circondano e da questo strano mondo che gira, ma sembra sempre più fermo. Forse mi sono sempre sentito così, fuori posto.
Scrivere, a volte, è come piangere: esternare un pensiero opprimente per poi sentirsi meglio.
Non mi sento meglio per niente.