sabato 7 gennaio 2012

Ho la febbre.
Dopo aver passato la notte in bianco tra dolori, brividi di freddo, tachipirina e conseguente caldo infernale, sconsiderato uso del condizionatore per abbassare la temperatura (dopo essermi tolto il pile e la maglietta naturalmente) che mi colpisce e sì, mi rilassa fino a farmi prendere sonno (ore 8.30), salvo poi congelarmi e farmi risvegliare poche ore dopo con un grande mal di gola ( fino qui siamo nella norma), la situazione è la seguente: sono seduto in carrozza con la stufa accesa sulla destra, il fon puntato sulle spalle e il condizionatore che spara aria calda e segna trentacinque gradi, e ho comunque brividi di freddo e dolori. Sono in paziente attesa che il coefferalgan, con la sua meravigliosa composizione codeinica, faccia effetto. Non è una situazione normale. Il condizionatore mente, ci saranno quarantacinque gradi nella stanza, se avessi un rettilario anche i serpenti si lamenterebbero. Quando il connubio calore estremo/codeina mi concede l'agognata pace, e anche qualche ottimo svarione, organizzo la cura: tisane varie, antibiotico naturale (un intruglio con aglio e limone, ma non puzza giuro!), antibiotico normale (purtroppo ho anche una piccola infezione urinaria), brodo di pollo, areosol, spray per la gola e, dulcis in fundo, sciacqui con la coca-cola - rimedio impressionantemente efficace e perla di saggezza dell'ormai defunto fornaio di zona. In tutto questo, ho solo trentotto di febbre. A questo punto ho il dovere di citare mio padre. Non lo faccio mai, il mio bersaglio preferito è mia madre, ma questa volta non ne posso fare a meno. Anche lui come me, del resto era mio padre, con 37.4 si sentiva già prossimo alla morte. Era il momento perfetto per chiedergli dei soldi, rispondeva sempre si: «Prendi ciò che vuoi, per me è arrivata la fine. Stai un po' con tuo padre in quest'ora funesta».
Nonostante mi divertisse la teatralità del tutto, me la filavo col bottino nel minor tempo possibile. La vendetta, però, era dietro l'angolo. Quando la febbre veniva a me, e mi trasformavo nel morente, lui era felice come se avesse vinto la lotteria perché gli concedevo tutto. Lo lasciavo propinarmi aspirine, lasciavo che mi ficcasse la testa sotto un asciugamano davanti a una pentola fumante piena di bicarbonato e, soprattutto, lasciavo che si esprimesse in tutte le dimostrazioni d'affetto possibili, che gli erano assolutamente vietate nella normale convivenza famigliare: svolazzava con la grazia di una libellula tra carezze, prolungati abbracci, massaggi, baci in fronte. Adesso sarei disposto a ''concedermi'' anche senza febbre, purtroppo allora ero un povero deficiente. Mi stendo sul letto, sperando che la febbre passi velocemente. Ho un libro da finire e qualcuno da incontrare...

P.S. Ho la tastiera con qualche problema, a volte non digita le lettere. Non sapete quanto ho impiegato a scrivere questo post, spero apprezzerete.