giovedì 4 ottobre 2012

Un'estate anomala (seconda parte)

Augusto si presenta puntuale. Passo la giornata a insegnargli tutto il possibile e a fargli vedere dove sono posizionate le cose che mi servono. Intanto intervisto altri due ragazzi, uno dei quali sembra davvero adatto. Ci lasciamo con la promessa che, dopo aver sentito le sue referenze, lo richiamerò. Il nuovo arrivato mostra subito i suoi limiti. Ha detto che sa cucinare. Come faccio tutte le volte che provo qualcuno in cucina, gli chiedo di preparare un piatto di pasta con pomodoro e basilico, niente di più semplice. Il risultato è, ovviamente, disastroso: una piatto di penne rigate scotte navigano in un sugo di pelati dal sapore non meglio definito. Ha detto anche che non ha problemi a sollevare persone pesanti (sarei io, per l’altezza...). Per fortuna è tornato Alex, un mio caro amico al quale ho affittato una stanza. Il sollevatore di pesi si presenta con un busto e ha grosse difficoltà a mettermi in carrozzina. Alex si occupa del busto, la parte più pesante (va bene, un po’ di pancia c’è!), e releghiamo Augusto alle gambe. Non vi descrivo l’agonia del malcapitato per posizionarmi a dovere sul letto. Per farla breve, il giorno seguente, mi chiede udienza:
«Senior Lorenzo, posso parlare un attimo?»
«Certo Augusto, mi dica»
«Sinseramente io non posso fare questo tipo di esforso»
«Questo l’ho capito, ma lei mi ha detto che non aveva problemi a sollevare persone pesanti»
«Per questo voglio esser sensero»
«Poteva essere ‘sensero’ due giorni fa così non perdevamo tempo»
«...»
«Ora deve aspettare che trovi un’altra persona».
Ho già sentito le referenze dell’altro candidato, quindi lo convoco d’urgenza. La cosa davvero buffa è che Augusto e Armando, questo il nome del nuovo arrivo, sono praticamente identici: stesso colore di pelle, stessa altezza, tratti somatici simili. Si muovono per casa insieme, sempre. Sono inseparabili: due perfetti umpalumpa, quelli della fabbrica di cioccolato di Willie Wonka. A volte scambio i nomi. Mi viene voglia di tenerli entrambi, nel letto entrerebbero comodamente, ma le scarse finanze e il fatto che mangiano per quattro, me lo impediscono. Alex e Alessia continuano ad aiutarmi tutti i giorni (mia sorella è giustamente partita), anche perché io dei due umpa insieme mi fido poco, togliendogli fatica e responsabilità. Tanto che l’umpa Augusto mi richiede udienza:
«Posso parlare un attimo?»
«Certo mi dica»
«Io senseramente vorrei restare»
«Come vuole restare? E la schiena, gli sforzi?»
«Posso farcela»
«Guardi che se rimane, fino a Settembre non voglio sentire lamentele fisiche di nessun tipo. D’accordo?»
«Va bene».
Alla fine sono identici, uno vale l’altro, devo solo superare il mese di Agosto.
Arriva il giorno dell’incontro con la dottoressa. Augusto ha detto che ha la patente e sa guidare, ma l’ho visto consultare un libro con il significato della segnaletica stradale. Non ho voglia di morire con l’umpa, mi faccio accompagnare anche da Alex che guida il furgone. Una cosa che ho visto accadere raramente e solo con sudamericani, è la pressoché inesistente curiosità: se c’è qualcuno che fa al posto loro, si disinteressano completamente. Per esempio: devo salire sul mio furgone e legare la carrozzina all’interno. Alex gli fa vedere come si fa la prima volta, si presuppone che al ritorno l’umpa prenda l’iniziativa e ci provi da solo, anche sbagliando non ha importanza, dopo due-tre volte imparerà. Lui resta fermo come una statua e aspetta che Alex prenda in mano, di nuovo, la situazione.
La dottoressa mi ribadisce ciò che già sapevo: letto fino a dopo Ferragosto, poi mi cambieranno lo schienale in attesa dell’arrivo della nuova carrozzina. Oggi è lunedì, il cambio è previsto per lunedì prossimo. Un mese da incorniciare...

domenica 23 settembre 2012

Un'estate anomala (Prima parte)

Avete già letto il post ‘Giustizia italiana’, inutile quindi soffermarmi ancora sul mercenario srilankese (o cingalese, non ho mai capito). Voglio invece raccontarvi quello che è successo dopo essermi felicemente liberato di lui. Non fatevi ingannare dalle mie parole, non è stato il preludio di un’estate all’insegna della spensieratezza, bensì l’esatto contrario: un flusso costante di problemi che neanche il rito voodoo più perverso sarebbe stato in grado di creare.
Mentre avviene il fattaccio col mercenario (cambio tempo per farvi vivere più direttamente la tragica escalation), contatto un’agenzia che fornisce personale secondo i requisiti richiesti. Parlo con il titolare che, dopo aver ascoltato le mie esigenze, mi risponde raggiante:
«Ho proprio la persona che fa per lei!»
«Mi dica»
«Filippino, trentadue anni. Da ventisette in Italia, praticamente parla con accento romanesco. Sa fare tutto e ha esperienza nel campo dell’assistenza, anzi è proprio il tipo di lavoro che cerca. Glielo mando per un’intervista?»
«Certo!»
«Si chiama Ramon e questo è il suo numero, lo chiami e si metta d’accordo direttamente con lui»
«Grazie».
Incredibile, penso, bingo al primo tentativo. Non mi è mai successo, quindi nutro ancora qualche perplessità, ma allo stesso tempo sono fiducioso. Tempismo perfetto: cacciato un mentecatto, arriva il superman degli assistenti. In effetti, dopo l’intervista, sono io quello raggiante. Ramon è davvero superman: un ragazzone dalla possente stazza, ha molta esperienza e ottime referenze. E’ sveglio (forse anche troppo), e lo dimostra subito lamentandosi per la sporcizia della casa. Oltretutto è un ex kickboxer, quindi all’occorrenza anche guardia del corpo, che non guasta. Lo prendo in prova. Per i seguenti diciotto giorni mi sembra di aver raggiunto il Nirvana: impara tutto subito, la casa non è mai stata così pulita, cucina e guida benissimo, spesso anticipa i miei pensieri. Posso finalmente delegare senza ritrovarmi davanti a disastri inaspettati. Praticamente perfetto. E’ un po’ sopra le righe dal punto di vista degli approcci: sciorina soprannomi e storpiature dopo averti conosciuto da un minuto, e tende a farsi sentire se qualcosa non funziona, ma va bene così. D’un tratto, tutto ciò che ho passato con il mercenario sembra avere senso: c’era super Ramon ad aspettarmi. Mi faccio preparare il contratto dal mio commercialista, e finito il periodo di prova, lo firma. E’ fatta, mi dico, per i prossimi anni sono in una botte di ferro. Il giorno dopo aver firmato, mi comunica che ha trovato un lavoro dove lo pagano molto meglio e può dormire a casa. Avendo moglie e figlio, non può perdere l’occasione. Gli dispiace molto e mi promette che aspetterà finché non avrò trovato un degno sostituto. Mi cade il mondo addosso. Cerco di farmene una ragione pensando ai suoi difetti (pochi) e concentrandomi sul fatalismo: vuol dire che doveva andare così, ne arriverà uno ancora più bravo, anche se ci credo poco. A distanza di un giorno mi danno il numero di Arlyn, una filippina molto fidata che sicuramente sarà in grado di trovarmi qualcuno. La chiamo e le espongo i miei bisogni. Non mi lascia finire la spiegazione, e sbotta entusiasta:
«Mio marito!»
«...»
«Signore la prego, smetta di cercare. Mio marito è perfetto e cerca disperatamente lavoro. Veniamo subito a trovarla»
«Va bene domani?»
«Certo signore. Mio Dio, è come vincer«e la lotteria! Grazie, a domani!».
Si presentano insieme al figlio e a un suo amichetto, figlio della sua datrice di lavoro. Il candidato alla vincita della lotteria si chiama Jimmy: tarchiato ma robusto, con un baffetto anni ’70. Parla un italiano stentato e quasi sottovoce. Sembra molto meno entusiasta della moglie. Gli spiego che dovrà iniziare subito per imparare velocemente, perché è venerdì e ho intenzione di partire il martedì successivo. E’ molto meno espansivo di Ramon, e questo è un bene. Mi chiede se, quando usciamo in macchina, si deve mettere in giacca e cravatta. Ho la tentazione di dire sì, sarebbe una scena meravigliosa: un fricchettone tatuato, scortato da un impeccabile assistente in completo nero. Gli chiedo solo di impegnarsi perché il tempo è poco, e ci sono tante cose da capire.
Passa tutto il sabato a lezione da Ramon, e rimane anche la notte. Sembra sveglio e capace (il soprannome, inutile che ve lo dica, viene da se: Jimmy il Fenomeno). Ci diamo poi appuntamento per la mattina di lunedì, per iniziare ufficialmente il lavoro e preparare le valigie per l’imminente partenza.
Ovviamente non si presenta. Lo chiamo e mi sciorina una serie di problemi surreali che faccio fatica a capire:
«Signore sono in un ufficio, mi hanno sequestrato il furgone dei fiori»
«...»
«E poi mi stanno cacciando di casa perché non pago affitto»
«...»
«E devo fare nuovi documenti per me»
(Ho reso la conversazione comprensibile focalizzando le frasi importanti, in realtà era condita da ragionamenti privi di senso).
«Scusa ma non riesco a capire, tutti questi problemi li avevi già, perché hai accettato il lavoro?»
«Pensavo di risolvere oggi»
«Non mi sembrano problemi di facile risoluzione»
«Lo so, infatti i miei problemi sono molto più gravi del suo».
Quest’ultima frase mi lascia davvero senza parole. Mi libero del telefono quasi fosse incandescente, e lo passo a Ramon:
«Parlaci tu con questo».
Ramon ci scambia qualche battuta in lingua madre e attacca. Inizia a bestemmiare (in italiano) e maledice il povero squilibrato.
La situazione ora è pessima: Ramon deve andare via, e io non so dove sbattere la testa per trovare una nuova persona, e per di più è saltata la vacanza. Il risultato è che per quattro giorni rimango da solo, con l’aiuto di mia sorella Valentina e di Alessia: una mia cara amica che sto ospitando per l’estate. Gestirmi non è cosa semplice, dalla pipì alla sistemazione in carrozzina e a letto nelle giusta maniera, fino alla vestizione e svestizione. Più altre pratiche che, normalmente, sono per me routine, ma che fatte da ‘novizi’ risultano più difficili del previsto. E mettiamoci anche il mio disagio quando sono costretto a farmi aiutare da amici e affetti. Insomma, un disastro. Per di più, da un giorno all’altro, lo schienale della mia sedia a rotelle decide che è arrivato il momento di morire. Non prima, però, di avermi creato dei problemi. Torno a letto e mi ritrovo graffi sulla schiena e punti ampiamente arrossati. La cosa non mi preoccupa molto, magari Ramon mi ha graffiato mettendomi seduto e mia sorella mi ha posizionato male. Mi sembra impossibile che sia lo schienale, così dal nulla. Il giorno dopo mi siedo qualche ora e torno a letto per controllare. Ci sono nuovi graffi e gli arrossamenti sono peggiorati. Non posso assolutamente stare seduto. Chiamo in ospedale: la mia ergoterapista sta andando in ferie e mi dice che comunque non può vedermi se prima non parlo con la dottoressa. C’è una nuova circolare che le impedisce di avere pazienti esterni non ufficiali. Chiamo la dottoressa che mi da appuntamento al lunedì successivo per capire la situazione.
Intanto cerco, tramite amicizie, agenzie, caritas e qualunque canale mi venga in mente, un nuovo assistente. La caritas prende i miei dati e le informazioni su cosa mi serve. Mi risponde una signora che, dal suono della voce, sembrerebbe anziana; neanche sente molto bene e, di conseguenza, urla. A dirla tutta sembra anche contrariata e infastidita dalla telefonata, forse l’ho svegliata durante il riposino. Comunque non riceverò chiamate dalla caritas. Le agenzie sono chiuse fino ai primi di Settembre. Tramite amicizie condominiali e non, ricevo i alcuni candidati. Il primo è africano e ispira fiducia come una tigre affamata, mi faccio lasciare il numero anche se so già che non lo chiamerò. Dopo qualche ora si presenta un signore: Augusto, boliviano. E’ basso ma dice che non ha problemi a sollevare persone pesanti. Restiamo a parlare per un’ora e mi lascia il suo numero e delle referenze per informarmi sul suo operato. Chiamo il numero del suo vecchio datore di lavoro. Mi risponde una signora che mi racconta, in termini entusiastici, che Augusto si è occupato del padre emiplegico per cinque anni in modo impeccabile. Aggiunge che è una persona molto affidabile e precisa. Lo richiamo per confermargli il mio interessamento, e qui arriva la solita frase che non ti aspetti (vi rammento che gli ho spiegato per un’ora il tipo di lavoro):
«Scusi, ma lei può camminare?».
〚La risposta che vorrei dare è questa:
«Che c’entra certo che posso, ma sono ricco e non mi va».〛
Resto un secondo in silenzio:
«Ma abbiamo parlato per un’ora, no che non posso»
«E fino a quando ha bisogno di assistenza?»
«Almeno fino a Settembre, ma le ho già detto anche questo»
«Allora va bene, vengo domani mattina»
«Va bene, a domani».
In realtà non va bene per niente, sono già preoccupato, ma per ora non ho scelta. Domani ho altri due appuntamenti, intanto mi copro. Ho imparato la lezione.


giovedì 23 agosto 2012

Che cos’è la solitudine?
E’ difficile rispondere perché, almeno per quanto mi riguarda, è una condizione legata a tanti fattori. Non importa se sono circondato da persone che mi vogliono bene, e che non perdono mai l’occasione di dimostrarlo. E’ una solitudine interiore la mia, una compagna di vita costante, che si fa piccola e si nasconde nei momenti spensierati, e poi riaffiora in superficie quando trova il giusto nutrimento, come un pesce affamato alla ricerca di cibo. Quel nutrimento che, negli ultimi due mesi, è arrivato in abbondanza (ne parlerò nel prossimo post). Non c’entra la condizione fisica che mi accompagna da ormai quindici anni, o meglio in parte sì, ma è solo una conseguenza che recita un ruolo di minore importanza. Passo giornate intere a riflettere, analizzare, cercare le precise motivazioni del malessere, ma non faccio altro che aumentare la confusione. Forse ora è colpa dell’estate. Un’estate passata in casa a combattere contro eventi inaspettati; un’estate senza sabbia, senza bagni salati purificanti, senza sole che ricarichi le batterie consumate dall’inverno; un’estate senza tramonti, senza colori, senza vento; un’estate in cui il frinire delle cicale e il profumo delle piante bagnate, amplifica il dolore. L’estate che illumina ogni cosa, ma che questa volta mi ha mostrato il suo lato più oscuro. Forse è colpa dei sentimenti che, quando meno te l’aspetti, ti avvolgono e ti consumano. Quelli legati al passato, che la malinconia di passaggio risveglia, e quelli presenti, quando desidero che qualcuno mi guardi con occhi diversi. Gli stessi occhi con i quali mi guardava poco tempo fa, ma che non ho saputo cogliere al momento giusto, e ora sembrano spenti e ciechi di fronte ai miei sforzi per farmi notare di nuovo. E allora vorrei avere il potere di tornare indietro per porre rimedio agli sbagli incautamente commessi, vorrei mi fosse concessa la possibilità di sentire quello sguardo nel cuore, così come vorrei sentirlo adesso. A pensarci bene, le scoperte fuori tempo fanno parte della mia vita e della mia essenza da sempre. Potrei farne un lungo elenco. Faccio del mio meglio per rendermi conto quando mi trovo di fronte qualcosa di importante, ma succede sempre che me ne accorga dopo, quando è troppo tardi. Anche questo aspetto alimenta la solitudine che mi blocca, come fossi incastrato nelle chele di un granchio. Ed è qui che si manifestano le immagini della mia vita passata: la libertà e l’indipendenza perdute, la voglia di far vedere tutto quello che so fare, ma che questo corpo immobile rinchiude come fosse una gabbia. Un tuffo in piscina, una nuotata solitaria, un’immersione notturna dentro quel mondo liquido e ovattato del quale sento un’incolmabile mancanza. Pensieri stupidi, lo so, ma non riesco a tenerli sempre chiusi in un cassetto. E la solitudine aumenta, senza alcun possibile rimedio. Sono sempre gentile con tutti. Ascolto con attenzione, assorbo e aiuto a risolvere – per quanto possa – i problemi degli altri, come è giusto che sia. Mi diverto e condivido momenti spensierati. Ma in realtà sono assente, e forse dovrei esserlo davvero. Mi sento diverso dagli esseri umani che mi circondano e da questo strano mondo che gira, ma sembra sempre più fermo. Forse mi sono sempre sentito così, fuori posto.
Scrivere, a volte, è come piangere: esternare un pensiero opprimente per poi sentirsi meglio.
Non mi sento meglio per niente.

sabato 21 luglio 2012

Che noia la febbre d'estate, che noia la solitudine quando si è malati. Tutti dicono: sei malato, vorrai stare da solo. No! La malattia in solitudine è come una lanterna notturna senza falene, come un falò senza qualcuno intorno. Ci vuole una presenza, un carezza, un bacio. E si guarisce prima, molto prima. Lo so bene io.
Sul letto, accaldato dall'effetto delle medicine, mi godo il vento artificiale del ventilatore. Occhi chiusi, immagino di essere su un catamarano che, a vele spiegate, rincorre il sole per non farlo tramontare mai. Tre gocce leggere mi cadono sul viso. Apro gli occhi. Sul soffitto vola una grande falena, sbattendo qua e là. Ma le falene pisciano?

giovedì 19 luglio 2012

Stanotte ho sognato di essere su un piccolo molo, davanti alla barca di Gabriele, il mio tatuatore. Era un motoscafo cabinato di legno, ma somigliava a un'imbarcazione antica. I colori erano quelli di una goletta. La prua si apriva come il cofano di una macchina, e al suo interno c'erano centinaia di strumenti musicali. La poppa del natante si trovava di lato e collimava perfettamente con il moletto dove mi trovavo io. Gabriele aveva poggiato molti strumenti su un divano: c'erano chitarre acustiche di varie dimensioni, tamburi, tamburelli muniti di piattini, flauti e nacchere. Lui teneva un'enorme chitarra acustica grigia con le estremità colorate a scacchetti bianchi e rossi, io un tamburello di media grandezza e, insieme, suonavamo la pizzica. C'era anche un altro ragazzo, cicciottello. Anche lui imbracciava una chitarra simile a quella di Gabriele, ma non suonava. Rideva.
Considerando che siamo entrambi amanti del rock, mi sembrava un sogno da raccontare.

domenica 15 luglio 2012

Giustizia italiana

Oggi voglio parlare di giustizia e tutela, raccontando quello che mi è successo nell’ultimo mese e mezzo, con particolare attenzione sugli ultimi cinque giorni. Un mese e mezzo fa, ho comunicato verbalmente al mio ormai ex badante/assistente che era, per me, venuta l’ora di cambiare. Si erano create situazioni e comportamenti che mi avrebbero permesso di licenziarlo in tronco per giusta causa: mi aveva più volte lasciato solo senza avvertire, lavorava con sufficienza e grande insofferenza. Nonostante questo, visto che il rapporto lavorativo di convivenza durava da quasi quattro anni, ho voluto dargli il tempo di trovarsi un nuovo lavoro e una nuova sistemazione.
Devo fare un passo indietro per farvi capire meglio il rapporto e la situazione agiata famigliare nella quale ha sguazzato a suo piacimento. Tanto per cominciare aveva una camera con bagno in una casa a piano terra, con ampio giardino a disposizione, in un comprensorio di tre palazzine immerso nel verde e dotato di una splendida piscina. Dopo un anno e mezzo di lavoro ho esaudito il suo desiderio di ricongiungimento famigliare, lasciando che la moglie lo raggiungesse e ospitandola a costo zero, senza farla lavorare. A distanza di un altro anno gli è nato un figlio, che io e tutta la mia famiglia abbiamo accolto con gioia. Mia madre, soprattutto, si è occupata del pargolo come fosse suo nipote, insegnando alla coppia di genitori novelli (e sprovveduti) come crescerlo; comprandogli vestiti e materiale utile alla sua gestione. Ho continuato a ospitare la famigliola facendomi carico di tutte le spese: gas, luce, acqua. E vi assicuro che il terzetto non faceva nulla per risparmiare su alcun fronte, cucinando a spron battuto e usando stufe elettriche (naturalmente di nascosto), nonostante ci fosse un impianto di riscaldamento autonomo.
Tornando al presente, dopo un mese dall’avvertimento verbale, come prevede la legge, gli ho consegnato la lettera di preavviso di licenziamento con data di scadenza al dieci Luglio. Passato ancora qualche giorno, il fido badante si è presentato con un TFR (trattamento di fine rapporto) fatto dalla CGIL per una cifra pari a Euro 7500. Apro una piccola parentesi: pochi mesi fa mi ha chiesto un anticipo di Euro 1800, perché il padre stava male, che gli ho prontamente dato. Quindi il totale per tre anni e nove mesi di lavoro (con tredicesime pagate regolarmente e gran parte delle ferie anche), secondo il sindacato, ammontava a Euro 9300. Sicuro dell’infondatezza del documento, ho chiamato il mio commercialista che da anni mi assiste in queste vicende, senza mai avere il minimo problema con nessuno dei badanti che si sono alternati, e gli ho chiesto di calcolarmi il TFR. Risultato: Euro 6160. Ho presentato il documento e, per tutta risposta, il ragazzo ha dato in escandescenza dicendo che il conteggio del commercialista era falso, e minacciando che non avrebbe lasciato casa se non gli avessi corrisposto la cifra segnalata dal sindacato. Cercando di mantenere calma e toni bassi gli ho proposto un’altra via: io faccio fare il conteggio sulla busta paga a un altro consulente del lavoro con il quale non ho rapporti di conoscenza, e tu fai controllare il tuo dal sindacato. Risultato: il mio era pressoché identico a quello precedente, mentre il suo, conteggiato dalla SILE (altro sindacato), questa volta ammontava a circa 13000 Euro. L’affidabilità dei sindacati mi sembra rassicurante. Altro giro altre escandescenze, questa volta condite da minacce, insulti e comportamenti al limite della violenza anche contro miei amici che cercavano di farlo ragionare. Ho atteso ancora un giorno, badate bene tenendo in casa una persona che dava seri segni di squilibrio, con l’impossibilità di difendermi – vista la mia condizione di disabilità – da eventuali attacchi fisici. Ho poi cercato ancora una risoluzione pacifica, spiegandogli che non era mia intenzione approfittarmi di lui, né allo stesso tempo volevo pagare più del dovuto. Ponendolo di fronte al fatto che i conteggi dei due diversi consulenti erano quasi identici, questo a prova lampante degli errori dei sindacati. A quel punto ha cercato di contrattare chiedendomi 7000 euro, come fossi in un bazaar a fare shopping. Mi sono rifiutato cercando, ancora bonariamente, di fargli capire che ero pronto a pagare il giusto, senza prestarmi a contrattazioni truffaldine. La ricattatoria risposta finale, sempre con toni sopra le righe, è stata: o mi dai quello che chiedo, o io occupo la stanza. Davanti al ricatto, alle minacce e agli evidenti segni di squilibrio mentale, non ho avuto altra scelta che chiamare la polizia. Ho spiegato agli agenti tutto quello che era successo, sottolineando il fatto che, nella mia condizione, non mi sentivo più al sicuro con questa persona in casa. Per farla breve, nonostante avessero capito la situazione, non potevano buttarlo fuori a causa della presenza del bambino. Mi hanno consigliato di corrispondergli ciò che chiedeva per chiudere subito la questione. Ho contattato il mio avvocato, che mi ha dato lo stesso consiglio. Quindi, mio malgrado, ho dovuto sottostare all’ingiusto ricatto.
Adesso mi chiedo: perché io non sono in nessun modo tutelato dalla legge italiana? Perché lo stato dove vivo e dove pago le tasse tutela una persona che mi sta palesemente truffando? A chi mi devo rivolgere per difendere i miei diritti e la mia persona? Avrei forse dovuto ingaggiare un paio di buttafuori? Perché non esiste un organo dello stato che controlla e fornisce personale affidabile, e si fa carico di eventuali questioni di questo tipo?
Il paese dove vivi dovrebbe farti sentire protetto e tutelato. Qui, purtroppo, si tutelano ladri e truffatori, a tutti i livelli. Sono stanco e sfiduciato, e credo sia venuto il momento di trovare un paese civile dove andare a vivere.

Dulcis in fundo, per chi non avesse ancora inquadrato bene il personaggio, dopo aver svuotato la stanza, nel momento in cui finalmente stava uscendo di casa, ha avuto il coraggio e la faccia tosta di chiedermi trenta euro arretrati di pulizie della casa...Potete immaginare la mia lunga risposta.

martedì 29 maggio 2012

Scusate la prolungata assenza, ma finito il romanzo ho avuto bisogno di un attimo di svacco totale. C'è stato un calo di adrenalina misto a una certa stanchezza mentale. Il tutto è sfociato nella visione di film e serie tv a raffica. Ora sono impegnato nelle ''pratiche'' che ogni autore affronta - per me è la prima volta - per piazzare il libro e fare in modo che ci siano tutti i presupposti affinché venda qualche copia. A breve tornerò a occuparmi del blog e vi terrò informati sulle vicissitudini di un autore al libro d'esordio (che sarei io). Comunque posso dirvi già da ora che, se tutto va bene, il romanzo uscirà a Gennaio. Baci et abbracci.

sabato 14 aprile 2012

Ausili

A seconda della patologia ogni disabile, di tre mesi in tre mesi, riceve gli ausili necessari alla vita di tutti i giorni. Si affida a una sanitaria che glieli fornisce gratuitamente, e che successivamente si fa rimborsare dalla Regione di appartenenza. Non esiste un budget annuale oltre il quale non si può sforare, dipende dalle singole necessità. Personalmente dipendo dalla Regione Lazio che finora ha sempre soddisfatto tutti i miei bisogni. Purtroppo la musica è cambiata. Le grandi e potenti sanitarie hanno presentato, su diversi ausili, un’offerta al ribasso che oscilla tra il quindici e il cinquanta percento, a differenza del materiale. La Regione, non curandosi degli effetti devastanti che tale ribasso avrebbe prodotto sugli utenti, ha pensato bene di accettare l’offerta. Dal 14 Dicembre 2011 sono entrati ufficialmente in vigore i nuovi prezzi. Faccio un esempio che mi riguarda personalmente per spiegare quello che sta succedendo: per svuotare la vescica uso dei cateteri speciali che costano due euro e settanta centesimi l’uno. Se prima della transazione la Regione rimborsava circa due euro e dieci centesimi, adesso rimborsa un euro e novanta centesimi. La conseguenza di questa riduzione comporta che la sanitaria alla quale faccio capo, non è più in grado di fornirmi il numero adeguato dei cateteri di cui ho bisogno. Sono quindi costretto ad acquistarne a mie spese. In poche e chiare parole: devo pagare per fare pipì. Considerando che c’è chi vive con la sola misera pensione d’invalidità, e presenta patologie anche più gravi e più costose della mia, si tratta di un gioco al massacro. Sono sicuro che la crisi nella quale siamo immersi costringa le istituzioni a portare grandi tagli economici, forse sarebbe il caso di mirare su altri bersagli. Fortunatamente ho saputo che molte associazioni si sono fatte sentire e stanno cercando di sedersi intorno a un tavolo con la Regione per convincerla a fare marcia indietro. A mio parere sarebbe un atto dovuto, oltre che una dimostrazione di intelligenza e sensibilità.

lunedì 26 marzo 2012

All'ormai famoso gioco: appoggialo sul disabile (giacche, cappelli, sciarpe, guanti, non travisate...), si è aggiunta la new entry: sovrasta il disabile. Quando due persone (conoscenti, amici o anche perfetti sconosciuti) si salutano con abbracci e baci, non curandosi che in mezzo e sotto di loro c'è un essere umano su ruote. Talvolta il nuovo trastullo è corredato da gomitate e panciate, ma solo dai più esperti. (Kids don't try this at home).

venerdì 9 marzo 2012

Sesso e disabilità

Oggi mi è capitato di leggere un articolo contenente la lettera di una madre, che raccontava cosa le è successo una delle numerose volte in cui ha portato suo figlio disabile in una casa di appuntamenti. Vi allego il link così vi fate un'idea e capite anche le ragioni di questo post: http://invisibili.corriere.it/2012/03/09/il-sesso-dei-disabili-e-labbraccio-di-una-madre/.

Vorrei iniziare con un messaggio forte e chiaro: I DISABILI FANNO SESSO.
Quasi tutti sono in grado di scopare, chi più chi meno attivamente, ma tutti provano piacere nel fare sesso e ne hanno lo stesso bisogno di una persona ''normale''. Spesso sono anche più bravi, soprattutto quelli che non avendo più la sensibilità fisica, provano piacere nel soddisfare il partner e vengono trasportati in orgasmi diversi, ma ugualmente soddisfacenti, proprio dal godimento di chi hanno vicino. Oltretutto sono meno distratti dalla ricerca del proprio piacere, e più sensibili e concentrati su pratiche alle quali l'abituale amatore dedica scarsa attenzione e superficiale applicazione.
Sono stanco di sentire storie legate a una moralità, a un'ignoranza e a un'educazione religiosa da santa inquisizione. Per quale motivo un disabile dovrebbe smettere di avere pulsioni sessuali? Nel mio caso sono uno degli ottimi motivi per andare avanti, per sentirsi parte integrante di questo mondo. E anche nel caso in cui si nasca con una condizione diversa, per quale motivo si dovrebbe negare o limitare una pulsione che fa parte della natura umana? Il disabile che sbava, ha spasticità nei movimenti e problemi cognitivi; ha anche il cazzo, ha erezioni e prova un immenso piacere quando viene. E non si tratta solo del piacere fisico, ma di quello di cui tutti abbiamo un gran bisogno: amore. Essere amati, avere di fronte qualcuno che prova il nostro stesso sentimento, che ci coinvolge in quel vorticoso benessere che è l'unico vero paradiso sulla terra, anche solo per un giorno, credo sia un diritto di tutti. Per quanto mi riguarda, ho capito che non esistono scopate occasionali. Ogni volta che vado a letto con una donna, lo faccio per amore, perché sono coinvolto emotivamente, perché provo un sentimento. E non importa se durerà una notte, un mese o una vita; e non importa neanche se si tratta di una nuova conoscenza, di un'amica o di una mestierante. Non esiste il sesso senza il trasporto emotivo, diventa uno squallido esercizio fisico. Lo lascio a chi lo accomuna a un pomeriggio passato in palestra.
Io sono dalla parte della mamma nell'articolo, sono per un risveglio delle coscienze, della sensibilità umana necessaria a capire il bisogno dell'altro. Sarebbe un grande passo avanti nella scala evolutiva della nostra specie, e sono ancora fiducioso che lo vedrò succedere.

mercoledì 22 febbraio 2012

L'utilità del vigile urbano

Ogni tanto capita che trovi il mio posto auto riservato, con tanto di segnale e numero di concessione stampato sopra, occupato da macchine di altri disabili (più raramente) o da chi semplicemente se ne frega, o fa finta di non vedere il segnale. Esiste un numero di telefono del pronto intervento dei vigili che, se chiamati, dovrebbero intervenire (appunto), multare e rimuovere il veicolo. In quindici anni di disabilità, neanche una volta sono riuscito a veder portare a termine questa operazione. Le mie molteplici telefonate hanno avuto gli esiti più diversi: non risposte; risposte ma mancanza di personale e mezzi; risposte con promessa di mandare subito personale e mezzo, che però si presentavano ore più tardi quando l'auto denunciata era già andata via. Sconsolato, sono passato al fai da te: messaggi cartacei lasciati sul parabrezza; tergicristalli alzati; furgone parcheggiato in modo da rendere quasi impossibile l'uscita del fuorilegge; fino alla rigatura con chiave (in pochi casi).
Qualche giorno fa ho trovato l'ennesimo rappresentante della rinomata educazione civica che rende il nostro paese famoso nel mondo, piazzato nel mio posto. Per di più con permesso d'invalidità in bella vista sul cruscotto, che se vogliamo è un'aggravante visto che lo dovrebbe sapere bene. Per solidarietà sono tollerante con i miei simili, quindi gli parcheggio dietro senza esibirmi in azioni dimostrative e me ne vado a casa. Passa invece mia madre che prende e telefona al pronto intervento, e visto che non lo ha mai fatto, le rispondono e prontamente intervengono. A questo punto devo fare un passo indietro.
Circa due anni fa ero parcheggiato in un autogrill in uno dei posti riservati ai disabili. Era estate e il mio sportello era aperto. Aspettavo il ritorno degli amici con cui ero in viaggio, con rifornimento di panini e bibite. Un poliziotto si è avvicinato al furgone, ha controllato il permesso e mi ha detto:
''Guardi che ha il permesso scaduto, appena torna nella sua città le consiglio di recarsi al Comune per il rinnovo''
''Perché scade?''
''Purtroppo sì, anche se nel suo caso non dovrebbe''.
Il poliziotto doveva essere ferrato in materia, ma io davvero non sospettavo che ci fosse una scadenza nei permessi. Di certo io non torno a camminare. Arrivato a Roma ho trovato un'altra bella sorpresa: quarantacinque multe per ingresso nel centro storico, anche queste riconducibili all'avvenuta scadenza del permesso (tralascio quello che ho passato per farmi togliere le multe, il post diventerebbe un romanzo). Mi sono precipitato in Comune a chiedere spiegazioni e, nel totale imbarazzo, mi hanno dato assolutamente ragione. Nel giro di una settimana mi hanno riconsegnato il permesso senza data di scadenza. Tutto risolto penserete voi. E invece no, perché a nessuno è venuto in mente di dirmi che il numero di concessione era cambiato. Per quanto mi riguarda non c'era motivo per il quale dovesse essere cambiato e quindi neanche ho controllato. Torniamo al presente.
Dicevo i vigili intervengono prontamente quando l'altro veicolo è già andato via (non poteva succedere diversamente) e quando anche mia madre si è dileguata. Controllano il numero di concessione sul permesso nella mia auto e notano che non corrisponde a quello sul segnale stradale. Indovinate un po' a chi fanno la multa? In tutto questo le sinapsi cerebrali del portiere del mio condominio non funzionano abbastanza da suggerirgli di chiamarmi, per evitare la beffa. Ora devo andare al Comune e mi devo incazzare, al solito. Non posso pensare al fatto che in quindici anni non si sono mai presentati, e una volta che vengono fanno la multa a me. A presto per il seguito in Comune.

P.S. Udite Udite: ho finito la prima stesura del romanzo. Ora inizia il delicato lavoro della revisione, ma sarò più presente sul blog.

sabato 7 gennaio 2012

Ho la febbre.
Dopo aver passato la notte in bianco tra dolori, brividi di freddo, tachipirina e conseguente caldo infernale, sconsiderato uso del condizionatore per abbassare la temperatura (dopo essermi tolto il pile e la maglietta naturalmente) che mi colpisce e sì, mi rilassa fino a farmi prendere sonno (ore 8.30), salvo poi congelarmi e farmi risvegliare poche ore dopo con un grande mal di gola ( fino qui siamo nella norma), la situazione è la seguente: sono seduto in carrozza con la stufa accesa sulla destra, il fon puntato sulle spalle e il condizionatore che spara aria calda e segna trentacinque gradi, e ho comunque brividi di freddo e dolori. Sono in paziente attesa che il coefferalgan, con la sua meravigliosa composizione codeinica, faccia effetto. Non è una situazione normale. Il condizionatore mente, ci saranno quarantacinque gradi nella stanza, se avessi un rettilario anche i serpenti si lamenterebbero. Quando il connubio calore estremo/codeina mi concede l'agognata pace, e anche qualche ottimo svarione, organizzo la cura: tisane varie, antibiotico naturale (un intruglio con aglio e limone, ma non puzza giuro!), antibiotico normale (purtroppo ho anche una piccola infezione urinaria), brodo di pollo, areosol, spray per la gola e, dulcis in fundo, sciacqui con la coca-cola - rimedio impressionantemente efficace e perla di saggezza dell'ormai defunto fornaio di zona. In tutto questo, ho solo trentotto di febbre. A questo punto ho il dovere di citare mio padre. Non lo faccio mai, il mio bersaglio preferito è mia madre, ma questa volta non ne posso fare a meno. Anche lui come me, del resto era mio padre, con 37.4 si sentiva già prossimo alla morte. Era il momento perfetto per chiedergli dei soldi, rispondeva sempre si: «Prendi ciò che vuoi, per me è arrivata la fine. Stai un po' con tuo padre in quest'ora funesta».
Nonostante mi divertisse la teatralità del tutto, me la filavo col bottino nel minor tempo possibile. La vendetta, però, era dietro l'angolo. Quando la febbre veniva a me, e mi trasformavo nel morente, lui era felice come se avesse vinto la lotteria perché gli concedevo tutto. Lo lasciavo propinarmi aspirine, lasciavo che mi ficcasse la testa sotto un asciugamano davanti a una pentola fumante piena di bicarbonato e, soprattutto, lasciavo che si esprimesse in tutte le dimostrazioni d'affetto possibili, che gli erano assolutamente vietate nella normale convivenza famigliare: svolazzava con la grazia di una libellula tra carezze, prolungati abbracci, massaggi, baci in fronte. Adesso sarei disposto a ''concedermi'' anche senza febbre, purtroppo allora ero un povero deficiente. Mi stendo sul letto, sperando che la febbre passi velocemente. Ho un libro da finire e qualcuno da incontrare...

P.S. Ho la tastiera con qualche problema, a volte non digita le lettere. Non sapete quanto ho impiegato a scrivere questo post, spero apprezzerete.