domenica 11 aprile 2010

Sono andato a vedere il ''ping pong club'' di Susan, la mamma di mia nipote Eva. Il posto si chiama ''Spin''. Si trova sulla ventitresima strada tra Madison e Park Ave. Lo spazio è fantastico, si scende sottoterra e si entra im un mega stanzone con undici tavoli: dieci messi in fila in due gruppi di quattro e uno di tre, più l'ultimo ''centrale'' davanti a un lungo bancone bar e circondato da piccole gradinate di metallo. Quello dove si tengono i main events durante la settimana. In più c'è anche un ristorante con alcuni tavoli di fianco al bar. Arredato con gusto, luci soffuse intorno ai tavoli ben illuminati, schermi appesi ai muri. Cameriere attraenti che vengono a prendere l'ordinazione. L'evento della serata era il ''Dirty Dozen''. Un torneo settimanale che si svolge ogni venerdì tra i dodici più forti giocatori del club. Premio finale da 500 dollari. L'accoglienza è stata fantastica. Il manager del club ci ha scortato vicino al tavolo centrale e ci ha offerto da bere. Dopo pochi minuti si è presentato uno dei proprietari soci di Susan, un trent'enne di bell'aspetto di cui non ricordo il nome. E' rimasto a chiacchierare a lungo, e si è raccomandato di ordinare qualsiasi cosa volessimo. Dopo una mezz'ora è arrivata Susan. Siamo stati insieme tutta la sera, ammirando i bravissimi giocatori in partite mozzafiato accompagnati da due mc's che ne decantavano le gesta. Tra una partita e l'altra balletti di breakdance (un po' scarsi a dire il vero) e gare di abilità nello scolarsi boccali di birra a tutta velocità. Very american style. Agghiacciante per un europeo con un minimo di cultura. Molti giovani e ricambio un po' più adulto da una certa ora in poi. Tutti i tavoli costantemente pieni e moltissima gente al bar e al ristorante. Insomma serata perfettamente riuscita. Susan mi ha presentato tantissime persone, è stata molto carina. Credo ci sia il suo zampino anche nell'approccio ''out of the blue'' di una prorompente ventiquattrenne dell'Oklahoma, addetta all'ingresso del locale, sufficientemente ubriaca da parlarmi per un'oretta in spagnolo, pretendere il mio numero di telefono e rammaricarsi per il fatto che non vivo a NY. Che chiedere di più a una serata?

Il giorno dopo ho avuto l'immenso piacere di vedere mia nipote Eva, che non incontravo da sei anni. Ci siamo dati appuntamento in mezzo a Union Square. Si è presentata col suo nuovo ragazzo, molto carino e simpatico, ex giocatore dei Galaxy di Los Angeles che ci ha lasciato quasi subito per andarsi a vedere Barcellona-Real Madrid (giustamente direi). E' stato molto emozionante, abbiamo parlato per un'ora e mezza di qualsiasi cosa, tra grandi risate. Ci siamo accorti di pensarla allo stesso modo su parecchie cose. L'ho trovata in splendida forma, felice e ci siamo dati appuntamento a Roma per l'inizio dell'estate. Anche perchè per una che vive a Los Angele e uno che vive a Roma, incontrarsi a New York è veramente strano o perfettamente sano, non saprei scegliere. Ci siamo entrambi rammaricati di non poter passare più tempo insieme, lei doveva rientrare subito a L.A. per lavoro. Non ho problemi nel dire che è stata la più bella cosa che è successa a NY fin'ora.

Domenica mattina alle 9 ero schierato insieme a una ventina di romanisti al ristorante ''La Sora Lella'' a vedere la partita della Roma. Clima un po' freddo all'inizio, della serie: chi è questo? Porterà male? Dopo il secondo gol ero già uno di loro. Alla fine baci e abbracci e tutti felici per questa grande Roma prima in classifica. Quasi mi toccherebbe rimanere fino alla fine del campionato (se qualcuno sponsorizza io rimango eh...).
Subito dopo sono andato a prendere un'incazzatissima Sabina, reduce dalla sua mostra di gioielli andata male, per recarci al Metropolitan Museum. Qui mi tocca aprire una polemica sulla scarsa accessibilità di NY, che è qualcosa che uno non si aspetta. La metropolitana non è accessibile. Solo pochissime stazioni hanno gli ascensori. E questo ha limitato non poco la mia mobilità in città. I taxi per disabili praticamente non esistono. Ne ho intravisti due, chiaramente occupati, in cinque giorni. Puoi richiedere un furgoncino attrezzato ma è molto costoso. Gli autobus sono tutti accessibili, ma per arrivare al museo ci è voluta un'ora e due dollari e mezzo di biglietto. Per di più hanno un sistema di sicurezza molto scarso. Per non parlare dei marciapiedi disastrati e dell'accessibilità ai negozi anch'essa molto scarsa.
Il Metropolitan è uno dei musei più belli del mondo. Ci vogliono almeno tre giorni per visitarlo nella sua interezza per non fare overload di informazioni. Cosa che immancabilmente abbiamo fatto uscendo col cervello in ebollizione. Tre ore al cospetto di opere e manufatti di qualsiasi genere e provenienza epocale. Uno dei ''must see'' di NY. Notate bene, il biglietto costa venti dollari ma se si dichiara di voler entrare con una semplice donazione anche di due dollari, si può. Solo che non c'è scritto da nessuna parte. O lo sai o paghi il biglietto. Risultato: sessanta dollari pagati.

Non faccio che pensare al ''povero cristo'' della mostra al New Museum. Oggi camminando su Houston st. l'ho anche intravisto. Forse aveva finito il turno. Aveva un non so che di trascendentale, per fortuna camminava sul cemento e non sull'acqua. Se lo incontro di nuovo lo fermo.

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