mercoledì 29 dicembre 2010

Ricomincio a soffrire d’insonnia. Una fastidiosa, dolorosa, ostinata insonnia. Densa di pensieri che spezzano il respiro. Che soffocano ogni tentativo di reazione.
Vorrei vivere nei miei sogni, confusi dai mille inspiegabili accadimenti. Rimbalzare da uno all’altro, senza ragioni ne spiegazioni. Lanciare una palla da football americano a qualcuno che non conosco da una sponda del Tevere all’altra; ritrovarmi in un colorato e affollato aeroporto , tra drappi e poltrone rosse e luci come in un teatro, in attesa di entrare in scena su un volo di cui ignoro la destinazione; camminare in un appartamento le cui finestre si affacciano su Central Park a New York, e spiccare il volo dal cornicione e volare volare sopra gli alberi, volare sul Metropolitan Museum, volare sul lago e sulla città tutta fino al mare, volare sull’oceano, libero.
Succede invece che resti sveglio. Che i sogni svaniscono via come piume al vento. Che la realtà è un’altra. E sono qui che lascio le tracce delle mie ruote sulla terra dove sono sepolti i miei amici. Sono qui che disprezzo compiaciute situazioni di un tempo. Un tempo passato dal ritmo serrato, impazzito.
Ho visto una generazione senza ideali, senza sogni, senza valori, senza voglia, disadattata per volontà, bruciare rapida come carta velina. LI ho visti abbracciati a una bottiglia, a una lattina, a una siringa. Li ho visti viaggiare in altri mondi, e ho condiviso mollti viaggi e molti abbracci. Li ho visti morire annoiati da se stessi. Annoiati dal piccolo mondo che si erano creati e in cui sguazzavano come girini. Li ho visti tramutarsi in rane, ma mai in principi azzurri. Mentre io combattevo per restare in vita, loro combattevano per lasciarla. E con tenacia ci sono riusciti.
Li ricordo cosciente, li ricordo in sogno, li ricordo per tenerli in vita. Vorrei averli accanto a festeggiare la vita che hanno lasciato, che in fondo non è così male. Mi vergogno di averli lasciati andare, di non aver avuto la forza di trattenerli, di non essere stato esempio. Ma nessuno può essere esempio per chi non ha occhi. Per chi non ha coscienza. E allora brindiamo all’incoscienza, alla cecità, alle futili frasi di circostanza, ai pensieri distorti e ossessivi. Brindiamo all’assenza, alla solitudine, al caos. Brindiamo all’impotenza, all’egoismo e alle notti in braccio all’oblio. E brindiamo alla pace che spero abbiano trovato, dopo una vita combattuta. Buon Natale.

venerdì 10 dicembre 2010

Mi sono rotto il cazzo di...!

Ci sono una serie di cose che mi hanno davvero e irrimediabilmente sfrantumato i maroni. Dal momento che in questo periodo vanno di moda le liste, vado a esporvi la mia. Titolo:
«Mi sono rotto il cazzo di...».

Leggere su facebook i messaggini dei poveri mentecatti che scrivono 'buongiorno' e 'buonanotte', smettetela!

Leggere su facebook altri poveri mentecatti (molte volte gli stessi di sopra) che pubblicano applicazioncine di dubbio gusto tipo:
Oroscopo, significato del nome, caratteristiche del giorno di nascita, impegnato/a, single, che anno sarà il 2011, farmville, caratteristiche del proprio segno zodiacale, che frutto sei, chi eri nella tua vita passata, che organo del corpo sei e via dicendo...smettetela!

Leggere su facebook chi pubblica un post o una canzone o un video e si autoclicca 'mi piace'. E' sottinteso che ti piace, l'hai pubblicato tu cazzo!

Leggere su facebook.

Facebook.

Avere un'infermiera che arriva sempre in ritardo e chiamare la cooperativa che la manda protestando inutilmente (post dedicato in arrivo).

Andare al cinema e vedere i film dalla prima fila che secondo loro è il posto più giusto per un disabile (anche qui post dedicato in arrivo).

Sentire mia madre che parla ininterrottamente di argomenti di cui non me ne frega un cazzo.

Repubblica che pubblica articoli sullo sconforto di Silvio Muccino che non ha idee per un nuovo film e non vede il fratello da tre anni (anche sticazzi!).

Vivere in un paese le cui caratteristiche principali sono nepotismo e corruzione.

Vivere in un paese dove Moccia e Volo vendono milioni di libri.

Vivere in un paese dove la musica è rappresentata da programmi come X Factor e Amici.

Vivere in un paese dove un disabile riceve una pensione di invalidità di 270 euro.

Dover spendere 264 euro per cinque garze speciali per fare una medicazione di cui non posso fare a meno.

E fa pure freddo...cazzo!

venerdì 26 novembre 2010

Ieri sera sono stato alla festa di compleanno del mio caro amico Max. Che ha pensato bene, nella migliore delle tradizioni delle sue particolari feste di compleanno, di farla in un locale erotico di S. Lorenzo: il caffè 'Veleno'. Ma facciamo un passo indietro. Una settimana fa apro, come di consueto, la mia posta elettronica e mi ritrovo ventinove messaggi con oggetto:«Porn D'». Penso subito a uno sconsiderato attacco di spam. Mi rendo invece conto che si tratta di un nuovo gruppo su facebook. A invitarmi a tale gruppo è proprio Max. Dopo aver eliminato le ventinove mail e modificato la ricezione nelle opzioni di facebbook, vado a curiosare nel gruppo. E' incredibile quanto la gente sia attratta dalla trasgressione, soprattutto quella a sfondo sessuale/erotico. Nel giro di tre giorni gli iscritti al gruppo lievitano come il pane nel forno. Il tutto accompagnato da un frenetico pubblicare di video e frasi sul tema. Un esempio del tenore dei video pubblicati: tre hostess (hotstess sarebbe il termine più adatto in questo caso) orientali di una non precisata compagnia aerea, si fanno una ricca pomiciata di tre minuti sotto a un ponte. A mio avviso sarebbe una pubblicità perfetta, diventerebbe la linea aerea più frequentata del mondo. La destinazione del volo non avrebbe più importanza. Leggendo scopro che lo scopo del gruppo è convogliare la gente alla festa. La provocazione: tutti si devono presentare con un oggetto fetish come biglietto da visita. Trovo che sia un'idea fantastica. Dalla velocità di aggregazione consiglierei al PD di fare una campagna elettorale a sfondo soft/erotico.
Il locale è meraviglioso. Piccolo con bar quadrato al centro della sala, classica stanzetta vetrata con lap dancer senza palo e scadente sia dal punto di vista sessuale che da quello ritmico: si muove come Freinkenstein e suscita sesso come l'alluce di Shrek. Tavolini e sedie vicino alle pareti dipinte chiaramente di rosso, e mini stanza con mini dj - il grande Giovannino (con tanto di mascherina rossa)- che ci ha deliziato spaziando dai Duran Duran ai Rage Against The Machine devo dire con grande gusto musicale. Gogna piazzata davanti all'entrata, non quella classica per mani e testa ma quella con lettino e travi a v per le gambe (una sorta di divaricatore ginecologico medioevale). Sono in compagnia del mio amico Michael che mi è venuto a prendere e mi ha portato alla festa. Bravissimo attore oltre che persona davvero speciale. Con una peculiarità: gli tremano le mani come se ci fosse un terremoto del settimo grado della scala Richter. Bere o farsi mettere in bocca una sigaretta con il suo aiuto diventa una manche di giochi senza frontiere. Ma veniamo ora al vestiario degli invitati. Quasi tutti in nero. Le donne sfoggiano toppini di pizzo e maculati, catene, manette (immancabili) e mascherine di ogni tipo. Gli uomini giacche di pelle, polsiere con punte di ferro (quelle dei metallari), fruste, una sorta di battiscopa in pelle e maschere (una da maiale e una da wrestler degne di nota). Il travestimento più riuscito è quello di Manu: vestaglia orientale e pacchetto di patatine a rappresentare Rocco Siffredi nella famosa pubblicità. Quello meno riuscito il mio: pantaloni di velluto e maglione di lana a collo alto. Se però consideriamo il lato fetish della sedia a rotelle allora vinco io! Bravo Max, serata ottimamente riuscita. Dovremmo farne un appuntamento fisso mensile. Vi lascio con foto della 'lap dancer' per farvi un'idea... (venuta mossa perchè l'ha fatta Michael).

martedì 9 novembre 2010

Vi allieto la giornata con qualche novità dell'ultim'ora:

ho trovato la macchina di mia madre parcheggiata davanti alla discesetta per disabili del marciapiede antistante il cancello di casa. Ho chiamato i vigili e gliel'ho fatta portare via. Avrà capito?

A pranzo: mia madre si guarda un dito e sentenzia:«Sento uno strano formicolio», mi guarda «sicuramente mi sta venendo una paralisi».

Al cinema: mi avvicino al botteghino e chiedo due biglietti. La signora mi guarda di sfuggita:«Sono quattordici euro».
«Veramente ci dovrebbe essere una riduzione per i disabili»
«Perchè lei ha l'invalidità?»
Guardo il mio corpo per assicurarmi di essere effettivamente seduto su una carrozzina:
«A occhio e croce direi di si»
«Che ne so, potrebbe essere un incidente, potrebbe riprendersi»
«...».

lunedì 11 ottobre 2010

Lennon night

Sabato sono stato a una magnifica serata musicale all’Angelo Mai in onore di John Lennon, che avrebbe compiuto settant’anni. Settanta canzoni riprodotte da diversi artisti. Veramente coinvolgente e affollato come non l’ho mai visto prima. Ho dato appuntamento a Francesca, una mia compagna di classe del liceo che non vedevo da vent’anni. Devo dire che l’incontro è stato davvero emozionante. Il concerto è iniziato verso le nove e mezza e, insieme, sono iniziati a fioccare i drinks. Dopo aver timidamente ordinato una birra, sono passato a un ottimo negroni. Senza rendermene conto e con grande naturalezza, i negroni sono diventati quattro. Francesca non è stata da meno e mi ha tranquillamente seguito. Anzi era lei a fare avanti e indietro dal bar. Verso le due abbiamo deciso che forse era meglio uscire a prendere un po’ d’aria. A quel punto mi sono decisamente reso conto che il quarto negroni era stato il classico bicchiere di troppo. Quello che non dovresti mai bere, che poi te ne penti, ma che alla fine ti bevi lo stesso. Il bello è arrivato quando Francesca mi ha detto:
«Avrei proprio bisogno di sedermi».
Non vedendo posti liberi le ho gentilmente offerto le mie gambe. Si è seduta ma ha immediatamente perso l’equilibrio (chissà perché) sbilanciandosi all’indietro. Per cercare di non cadere si è istintivamente attaccata al mio collo. Risultato: siamo andati giù insieme come due sacchi di patate. Un secondo prima avevo mandato il mio assistente a prendere l’acqua (tempismo perfetto direi). Per fortuna la mia amica Shaila era li vicino e ha assistito alla scena prestandoci soccorso immediato. Insieme a due volenterosi ragazzi. Una volta rimesso sul mio mezzo ruotato ho avuto un attimo di panico. Insieme a noi era volato anche il mio nuovissimo iPhone. Non riuscivo più a trovarlo. Ho subito pensato a un furto istantaneo, in realtà era finito al di la di una protezione di tela che lo copriva.
Il comico evento ci ha fatto decidere in totale unanimità che era arrivato il momento di tornarcene a casa. Ho accompagnato Francesca a piazza fiume e l’ho guardata avviarsi verso casa barcollante. Ho fatto il tragitto di ritorno a occhi chiusi, con tutti i finestrini aperti per tentare di riprendermi con l’aiuto del vento fresco sulla faccia, inutilmente. Non funziona mai. Una volta raggiunto il letto (non ricordo come), poco prima di svenire, ho ricevuto un messaggio di Francesca che recitava così:
«Arrivata! Incre.3.cile eh!t?:) grazie baci fra».
Grazie a te amica mia, mi sono davvero divertito!

lunedì 4 ottobre 2010

Delirio lucido

Sono stanco.
Esco di rado, e quando esco mi pento amaramente di averlo fatto. Mi piace osservare gli altri, ne ho bisogno per scrivere. Ma come si descrive il niente? Perché è questo che vedo quando esco. Facce che comunicano niente. Una moltitudine di persone dipinta di colori falsi, maschere a nascondere il vero volto.
Una ragazza balla eccitata saltando sul posto al suono di una musica che non si presta a tale ballo. Il suo accompagnatore la copia, ma dentro è imbarazzato e pensa:«Guarda che mi tocca fare per rimediare una scopata».
Registi e attori sconosciuti che si autodefiniscono grandi. Che poi Roma è famosa per questo, è quasi un virus. ‘A Roma so tutti fenomeni’ qualcuno ha detto, a ragion veduta.
E’ così difficile essere se stessi? Uscire senza veli? Mostrare un pizzico di umiltà?
Quei pochi che lo fanno brillano di luce propria come soli, in mezzo a una scura nauseante melma. E soli restano, come me ora in questa stanza buia.
Sono stanco.
Il mio viso cade a pezzi sotto i colpi di bisturi e punture. Li raccolgo e cerco inutilmente di ricomporre il puzzle. Allo specchio non mi riconosco. Estraneo a me stesso. Ho così tante cicatrici, che sono pronto per un eventuale film sui pirati. Non ho bisogno di trucco vado bene così, nature.
Ho freddo. L’inverno mi sta già penetrando nelle ossa, ancor prima che arrivi. Sono completamente coperto dal piumino, esce solo il braccio per scrivere.
Propongo una mozione di sfiducia al freddo, spostiamo l’Italia più a sud. Vicino all’equatore. Con tutte le cazzate che sento, una in più non fa niente...
Abbasso il periscopio e m’immergo nel piumino. Che ci faccio qui?
Buonanotte.

martedì 14 settembre 2010

Voci.
Voci festanti mi riempono di una rara solitudine. Un tuffo in piscina.
Schizzi d’acqua come frammenti di ricordi mi bagnano, e non c’è più il sole caldo dell’estate passata ad asciugarli. Restano addosso umidi, ricordi felici carichi di tristezza. Non si può fermare il tempo, non si può vivere in un ricordo.
E’ già vecchio colui che vive di ricordi, almeno così si dice.
Ma è il ricordo a tenermi in vita, a scaldarmi quando ho freddo, a farmi volare appeso a una soffice nuvola, a lasciarmi l'odore di un momento.
Com’è difficile tornare poi al presente, senza un ricordo a cui aggrapparsi.
E’ già buio qui e tra un anno sarà di nuovo luce, e un sole caldo ad asciugarmi, e nuovi ricordi.
Tra un anno.

sabato 4 settembre 2010

Ieri sono stato a cena con una mia amica. Siamo andati al ristorante ''Ditirambo'' a Campo de' Fiori. Ristorante che mi sento di consigliare per le gustose e ricercate pietanze, nonchè per la cortesia di tutto il personale. Non sono qui per esaltare il cibo o l'andamento della serata, su cui tuttavia non ho nulla da obiettare. Voglio raccontare cosa è successo mentre aspettavo il mio autista-assistente che mi veniva a prendere. Gli ho dato appuntamento esattamente dove mi aveva lasciato, davanti a due posti per disabili di cui uno con tanto di concessione (targa privata). Al mio arrivo nel luogo designato ho trovato una macchina parcheggiata nel posto privato, senza permesso di sosta adeguato. Dopo un minuto è arrivata una vigilessa (fatto già di per se raro quanto l'apparizione di un tirannosauro) che, fatto un giretto intorno all'auto per verificare l'assenza di permesso, ha iniziato a scrivere una multa. Ah dimenticavo, in tutto questo io ero anche abbastanza ubriaco:
«Gli devi fare un milione di multa!»
«In effetti non ha il permesso»
«Già...».
Dopo il piccolo siparietto, la vigilessa si è girata verso il collega per chiedere l'ammontare della sanzione: sosta in parcheggio per disabili euro settantotto. Se volessero davvero fermare questo tipo di abusi basterebbe fare cinquecento euro di multa. Non vedremmo più una macchina neanche in prossimità di un posto per disabili. I disabili stessi vivrebbero nel terrore di parcheggiare nei posti a loro riservati. Dopo cinque minuti è apparsa la proprietaria dell'auto che rivolgendosi a me ha pensato bene di dire in modo ammiccante:
«Speriamo che non mi hanno fatto la multa»
«E invece te l'hanno fatta la multa brutta deficiente, tu qui non ti devi parcheggiare»
«Mi scusi»
«Mi scusi il cazzo, tu non ti ci devi mettere qui e adesso sparisci!».
La povera mentecatta è salita in macchina con la faccia da cagna bastonata e si è velocemente dileguata.
Allora, è meglio prendere una multa e subire l'umiliazione di un disabile che ti inveisce contro o evitare di parcheggiare dove non si può?
Ai posteri la 'poco' ardua sentenza...

martedì 3 agosto 2010

Numana 3

I giorni passano inesorabilmente, soprattutto quando si sta bene, e la mia vacanza sta volgendo tristemente al termine. Tuttavia la vita di paese e il mio ampio parentado offrono continuamente il fianco alla mia penna.
Qualche sera fa sono stato alla grigliata di famiglia organizzata da mio cugino Marco (figlio di Maurizio e Irma). Il giardino pavimentato del palazzo familiare è stato riempito di barbecue fumanti e tavoli con qualsiasi tipo di bevanda. Tranne mia cugina Michela, c’erano tutti: zio Maurizio e zia Irma con figli e fidanzate incinta, zio Massimo e zia Ester con figli e figli dei figli, zio Manfredo e zia Stefania con figli e fidanzate non incinta. C’erano anche due miei cari amici, David e Silvia che hanno assistito-subito la grande riunione di famiglia. Il primo siparietto riguarda il bassotto di mia cugina Maddalena (figlia di Massimo e Ester). Mi è stato immediatamente presentato. L’ho forse guardato con un minimo di disprezzo (non vado pazzo per i cani di piccola taglia) e sono stato altrettanto immediatamente redarguito:
«Che c’è non ti piace il mio bassotto??»
«No no, è che sembrava un topo»
«Ma quale topo, guarda è così carino», intanto il mini quadrupede si allontanava tranquillo in mezzo alle erbacce del giardino.
«Oddio‼ Non appoggia la zampina‼ Si è slogato! Oddio‼»
«Chiamiamo un’ambulanza?»
«Smettila! Vieni qui piccolino fammi controllare».
Il bassotto è tornato zompettando tranquillamente sano come un pesce.
Il menù della serata comprendeva tutti i tipi di carne conosciuti, dal pollo alle salsicce passando per spiedini, fiorentine e wurstel più circa 400 pomodorini al gratin cucinati, con tecniche diverse, dalle tre zie. Io e Marco, dall’alto della nostra esperienza in fatto di pomodorini – dopo averne divorati una quarantina – abbiamo stilato in gran segreto (per non offenderle) una classifica. Ma si sa, i segreti in famiglia non ci devono essere, quindi la pubblico:
Prima a furor di popolo Irma, con il suo pomodorino classico al forno.
Seconda Stefania, col pomodorino alla griglia.
Terza Ester, per colpa del pan grattato allappante.
Protagonista unico della serata è stato il piccolo Tommy, l’ultimo figlio di Maddalena. Si è destreggiato in improbabili cocktails mischiando vino, cocacola, acqua e birra con una spruzzata finale di lime versando istericamente l’intruglio da un bicchiere all’altro. Ha poi iniziato ad arroventare i legni degli spiedini sulla fiamma delle candele divertendosi a spegnerli sulle braccia di mia cugina Manuela (figlia di Manfredo e Stefania). Dopo l’ennesimo grido della madre di smetterla ha commentato:
«Va bene la smetto, basta che non mi rompete li cojoni».
Dulcis in fundo si è improvvisato cameriere tagliando fette di dolci per tutti (anche per chi non ne voleva). Più che Tommy lo chiamerei Danni.
Ma l’apice è stato raggiunto quando zio Massimo ha tirato fuori una bottiglia di spumante per festeggiare mio cugino Marcello (figlio di Manfredo e Stefania) che si è appena comprato una meravigliosa imbarcazione. Un attimo prima di stappare, la sedia sulla quale era tranquillamente seduto zio Manfredo si è letteralmente disintegrata scaraventandolo a terra. Durante la caduta i piedi hanno violetemente colpito il tavolo davanti imbandito di piatti, bicchieri, bottiglie e un vaso di vetro porta candela pieno di conchiglie che sono volati all’unisono come fossero stati catapultati via. Andandosi a sfracellare tra muro e pavimento, sfiorando Margherita (la fidanzata di Marcello). Neanche il miglior effetto speciale cinematografico sarebbe stato in grado di riprodurre tanta perfezione. Ripuliti i cocci che erano magicamente racchiusi in cinquanta centimetri quadrati e fermato Tommy-Danni che voleva ficcarci dentro le mani per prendere una conchiglia, abbiamo deciso che era venuto il momento di andare in piazza a Numana dove imperversava una sfilata di moda.
Solitamente la piazzetta del paese è tristemente vuota, a parte le sei o sette immancabili bancarelle che vendono le stesse cose da trent’anni. Questa volta c’era il delirio. Quasi non si camminava. E tutto questo per cosa? Una squallidissima sfilata di intimo e pellicce, presentata da niente popò di meno che Jo Squillo. In totale ‘modalità mediaset’ (cit. Graf) mentre introduceva le varie linee d’abbigliamento con testi da vendita televisiva. Inframezzando il tutto con battute ammiccanti e performance canore: lei che cantava ‘Everybody need sombedody’ dei Blues Brothers; due cantanti lirici (si fa per dire) che intonavano ‘Te vojo bene assai’ di Caruso. Una selva umana che applaudiva mentre si parlava di castorini, visoni e volpi massacrate per farne vestiti. Anche la bellezza delle modelle passava in secondo piano davanti a questo spettacolo surreale nel suo cinismo. Sono scappato disgustato e mi sono rifugiato da Morelli. Ho annegato i pensieri in un bicchiere di amaro e sono tornato a casa. Conservando il ricordo della serata col parentado al quasi completo, che dovrebbe succedere più spesso e a cui voglio un gran bene.

P.S. Tornati a casa con David, Silvia e la mia adorata cugina Monica ci siamo messi a chiacchierare. David e Silvia seduti sul divanone vellutato gonfiabile comprato a inizio vacanza. Nel mezzo della chiacchierata David si è alzato di colpo per raggiungere un bicchiere sul tavolo, mentre Silvia con il terrore negli occhi si cappottava all’indietro con tutto il divano. Senza curarci minimamente delle condizioni della povera Silvia siamo esplosi in una fragorosa risata, di quelle difficili da fermare. A questo punto, visto che non c’è due senza tre, quasi quasi mi cappotto anch’io da solo, così per solidarietà...

mercoledì 28 luglio 2010

Numana 2

Sono appena stato a vedere un meraviglioso concerto di Marcus Miller al jazz festival di Fano. Ha suonato gran parte dell’album di Miles Davis ‘Tutu’, dove peraltro lo stesso Miller era presente col suo fantastico basso. Location suggestiva: il palco montato sul molo di attracco dello yacht club con tanto di tramonto alle spalle; un mega yacht tutto illuminato attraccato accanto al palco, mi ha fatto invidiare il proprietario. Due ore di concerto che sono sembrati cinque minuti tanto è stato coinvolgente. E’ bello vedere musicisti così bravi e famosi, divertirsi e far divertire un pubblico di appassionati. Molto spesso si assiste al compitino sufficiente per l’occasione. Questa volta, se me lo avessero chiesto, avrei ripagato il biglietto all’uscita. Per fortuna non me l’hanno chiesto.
I primi dieci giorni di vacanza sono volati. Numana è sempre uguale, nonostante non sia più piena di giovani come una volta. Ho ritrovato le colonne portanti delle mie vacanze adolescenziali: la gelateria Morelli, dove non riesco mai a pagare il gelato. Conosco la famiglia da 35 anni. Da piccolo giocavo con Michele, uno dei figli. Quando arrivavo da Roma, anche da più grande, era il primo posto dove mi fermavo. A qualsiasi ora del giorno e della notte. Memorabili le reazioni delle cameriere:
«C’è un tipo in pareo pieno di tatuaggi che bussa, chiamiamo la polizia?».
E poi c’è Adele la cuoca. Aveva una rosticceria casalinga. Mi ha tirato su a suon di gnocchi, tagliatelle e lasagne. Senza di lei sarei morto di fame. Anche ora che ha ottant’anni e ha chiuso l’esercizio, per me fa uno sforzo e sforna qualche manicaretto:«Ninì li fago solo per te (piccolo li faccio solo per te)».
Immancabili le cene dagli zii. Sono rimbalzato da uno zio a un altro come un pallone da pallacanestro. In effetti sto prendendo proprio la sua forma.
Da zia Irma e zio Maurizio (i miei preferiti, non me ne vogliano gli altri) doppia cena a base di pomodorini al gratin: centoventi la prima, ottanta la seconda (perché non c’era mio cugino). Spazzati via con grande naturalezza, facendo finta di lasciare che tutti ne mangiassero quanti ne volevano. In realtà era in corso una battaglia all’ultimo pomodorino. Con discorsi post cena molto divertenti. Sia mio zio che mia zia usano tranquillanti per andare a dormire. Una volta assunti i farmaci cadono in catalessi. Durante la notte potresti tranquillamente cambiare l’assetto della casa. Buttare giù muri a picconate, alzare tramezzi, sfondare pavimenti senza il minimo pericolo di svegliarli. Una notte zio Maurizio ha fatto più tardi del previsto. Ha aperto la porta della stanza e ha trovato zia Irma supina, bianca come un lenzuolo appena lavato, a bocca aperta con le mani conserte sul petto e il libro delle preghiere appoggiato sulla pancia. Per di più gli sembrava non respirasse:
«Oh madonna è morta Irma!».
Si è avvicinato e per fortuna respirava ancora. Preso da un impeto nervoso l’ha svegliata:
«Oh Irma, non puoi dormì int’un fianco?? M’hai fatto prende un colpo‼».
Da zio Massimo e zia Ester cena a base di pesce confezionata da lui, con il fondamentale aiuto di lei:
«Si mette ai fornelli e inizia a dare ordini: tagliami l’aglio, sminuzza il prezzemolo, affetta la cipolla».
Ha bisogno dell’aiuto cuoco che dopo quarant’anni di matrimonio ancora lo prende in giro sul fatto che non ricorda i nomi degli ingredienti:
«Mi passi quello...quello...quellooo...come si chiama?».
Dopo cena infilano un dvd con i vecchi filmini di famiglia. Due ore di vacanze al mare e in montagna. Al settimo cambio Madonna di Campiglio-Numana, la testa ha iniziato a vacillarmi bruscamente. Zio Massimo se n’è accorto:
«T’è costata cara sta cena eh?».
Genio.
Quello che mi diverte di più è andare alla ‘Spiaggiola’ di Numana. Spiaggia che la mia famiglia frequenta da 50 anni. I discorsi spaziano da gossip su i protagonisti dei settimanali ‘Chi’ o ‘Novella 2000’ o ‘Vanity Fair’, a chi ha la precedenza all’accesso al pulmino del comune che ti riporta a casa, a tragicommedie su nipoti incinta o su qualsiasi cosa si possa ansiosamente ricamare sopra. Cito alcuni esempi. Conversazione a tre tra cugine:
«Hai letto che il calciatore Cristiano Ronaldo ha pagato 12 milioni di dollari per farsi dare il bambino dalla donna che aveva messo incinta?»
«Io ho letto 15 milioni»
«Praticamente gliel’ha venduto»
«Ma no, ha preso l’affidamento»
«Secondo me ha affittato l’utero»
«Vedrai se quella tra un po’ non torna a battere cassa»
«Tanto finisce sempre così»
«E lui come farà a crescerlo, che sta sempre a giocare a calcio»
«Mah, che gente».
Conversazione tra zie su nuora incinta:
«Sta ragazza c’ha tanti dolori»
«Adesso deve fare l’ecografia»
«Si ma sti dolori sono strani, starà bene sto fiolo»
«Mamma mia qui ogni giorno ce ne una»
«Ne verremo fuori?»
«E poi non gli cresce la pancia»
«Non è normale»
«Che macello, vacci a capì qualcosa».

Mio zio Maurizio vota, ahimè, PDL. Mi diverte stuzzicarlo. Finita la cena gli ho dato appuntamento al mare la mattina dopo, chiedendogli di comprarmi ‘Il Fatto’ quotidiano. Sono arrivato in spiaggia dove mia cugina Monica mi ha detto:
«Si è tappato il naso e ti ha comprato il giornale puntualizzando che non era per lui. Si è raccomandato con me di non leggerlo».
Alla fine non l’ho letto neanch’io. Qualcuno l’ha fatto sparire. Il parentado congiura...

lunedì 19 luglio 2010

Numana 1

Sono appena arrivato a Numana nelle Marche. Un paesino sotto al monte Conero che conosco molto bene. I miei genitori e gran parte del mio ‘parentado’ sono di Ancona, e la nostra casa delle vacanze estive è sempre stata qui. Sono praticamente cresciuto in questo stupendo paesino. Sarei dovuto partire venerdì mattina presto ma come al solito, sono stato investito dagli immancabili guai dell’ultimora. Il cuscino ad aria sul quale mi siedo ha pensato bene di bucarsi proprio il giorno della partenza. I gommisti di zona, dimostrando grande solidarietà e spirito di sacrificio, si sono rifiutati di mettere mano al danno. Così ho dovuto mandare il mio assistente sulla Prenestina, nell’officina ortopedica a cui faccio riferimento. I ragazzi mi hanno momentaneamente risolto il problema, a fine vacanza dovrò comprarmi un cuscino nuovo, ma alle cinque e mezza di pomeriggio. Tornato in possesso dell’indispensabile oggetto, abbiamo iniziato a caricare il furgone con i pochi bagagli preparati. Quest’anno ho deciso di viaggiare leggero: tre valigioni, tre scatoloni, una busta piena di cuscini e una con le amache, il mio materasso antidecubito, un materasso gonfiabile per gli eventuali ospiti, un sacchetto con ciotole e guinzagli, due cani e la moglie del mio assistente al settimo mese di gravidanza. Riempire un portabagagli diventa un po’ come giocare a tetris. Cerchi di incastrare tutto nella maniera più conveniente. Dopo un metti e leva durato una buona mezz’ora sono arrivato alla perfezione. Volevo quasi fotografare l’opera cubista tanto ero soddisfatto. Rientrato in casa per chiudere e prendere le ultime cose, mi è quasi venuto un arresto cardiaco alla vista della sedia doccia ancora tranquillamente parcheggiata nel mio bagno. Preso dallo sconforto ho passato la patata bollente al mio assistente:
«Smontala e caricala tu, io non voglio saperne più niente».
Siamo riusciti a partire alle otto e mezza. Un’ora per uscire da Roma. Mezzora in autogril per un panino. Tre ore e mezza per arrivare. Anche perché vista la pessima guida del mio assistente in autostrada (un suv lanciato a 200 all’ora ci ha quasi investito perché lui pretendeva di mettere la freccia e superare non curandosi di chi arrivava), ho deciso che la velocità massima consentita era 120 km all’ora.
La vista della casa che ho affittato mi ha fatto immediatamente dimenticare le difficoltà della giornata. Si tratta di un enorme casale diviso in appartamenti. Il mio si affaccia su un ampio tratto di campagna con il tramonto al centro dell’orizzonte. La casa ha due stanze e un doppio salone con vetrata celo terra lunga circa sette metri, sullo stesso lato della vista mozzafiato. Un grandissimo e ben curato giardino circonda tutto il casale. Gli interni sono arredati con gusto e col minimo indispensabile. Mi sono subito attrezzato con divani gonfiabili con fondo di vellutino e torce a profusione. La prima cena sul patio illuminati dal fuoco delle torce, sotto un celo stellatissimo e con uno spicchio appuntito di luna crescente che faceva capolino tra le poche nuvole, mi ha fatto venire voglia di restare qui per sempre. E il tramonto disteso sul divanetto vellutato con un campari in mano ha triplicato la voglia. A presto.

mercoledì 2 giugno 2010

Due giorni fa sono stato al teatro Vittoria a Testaccio per l’evento organizzato dai Radicali di anticlericale.net. Serata divertente arricchita dagli interventi di tantissimi attori, presentata da un Andrea Rivera nei panni di Gesù, in grande forma. Non voglio raccontare lo spettacolo. Voglio denunciare la purtroppo solita inadempienza riguardo le barriere architettoniche. Entro nel teatro e mi trovo davanti a rampe di scale senza l’attrezzatura necessaria per salirle o scenderle. Mi rivolgo alla mascherina, che mi dice:«Il posto per voi è in galleria». Inizio a innervosirmi. Mi offrono aiuto per salire (aiuto di cui non ho bisogno, ma che accetto). Una volta saliti in galleria mi indica il ‘posto’:
«Di solito si mettono li».
Li, equivale all’angolo estremo in fondo dietro l’ultima fila di poltrone dove, per puro caso, c’è uno slargo. La vista del palco è semi impallata da un vetro che si allunga davanti alla prima fila di poltrone. A questo punto esplodo:
«E’ al corrente che dovreste essere muniti di un montascale per legge?»
«Questo è un discorso lungo»
«No il discorso è breve, o mettete un montascale o vado a fare un esposto e vi faccio chiudere il teatro. Ha mai sentito parlare di integrazione sociale?».
Mi guarda come se le avessi chiesto di risolvere un problema di fisica quantistica. A parte il montascale che, essendo il teatro un luogo pubblico, dovrebbe esserci senza «discorsi lunghi». Non si è ancora capito che il disabile non è uno strano animale da relegare in un angolo. Fa parte della società con gli stessi identici diritti di una persona «normale». Lo spettacolo lo voglio vedere insieme agli altri, sentendomi parte di un momento ludico o tragico che sia, e avere la possibilità di condividerlo con tutti i presenti. E’ così difficile da capire?
Tornando alle scale, io non ho difficoltà a salire una rampa (conosco le tecniche e comunque ho superato ostacoli notevolmente maggiori) o a lasciare che mi si aiuti a farlo (c’è sempre qualcuno che si presta). Ma se arriva un disabile che ha paura a farsi trasportare perché non si fida (più che leggittimo), come la mettiamo? Lo rimandiamo a casa con tante scuse?
L’apice è stato raggiunto con l’arrivo di una signora su una enorme carrozzina, in posizione semi stesa. Dopo essere stata issata in galleria, l’hanno posizionata nell’angolo punitivo dove, oltretutto, soffiava freddo e inersorabile il getto dell’aria condizionata. Io me ne sono dovuto andare prima della fine dello spettacolo perché il gelo mi stava procurando la paralisi della parte destra della faccia (come se non fossi già paralizzato abbastanza), la signora tossiva e starnutiva. Sarà tornata a casa con una polmonite. Ma la vogliamo smettere di fregarcene altamente del prossimo?
Vado a fare l’esposto e poi chiamo Jimmy Ghione di Striscia la Notizia. Vi terrò informati...

domenica 30 maggio 2010

Sono reduce dalla festa di compleanno di mia sorella Valentina. Tenutasi in casa mia, con tanto di dj David Nerattini ‘on the turntables’. Abbiamo passato parte del pomeriggio a spostare mobili per fare spazio all’orda danzereccia che mi avrebbe invaso casa, a posizionare candele, torce e quant’altro in giardino per creare l’atmosfera adatta (operazione ottimamente riuscita) e ad allestire tavoli e tavolini con alcool di tutti i generi. In realtà è venuta meno gente di quella che aspettavamo, ma veramente buona. Si è bevuto e danzato alla grande. Grazie, oltre che al dj, all’impegno di Tata nel confezionare mohitos a profusione e assicurarsi che tutti ne traessero grande beneficio. Soprattutto lei. Tata è un’amica di Maya, che ha portato anche sua mamma Giulia. Per la quale l’ingresso alla festa non è stato dei più promettenti: piede nel canalino di scolo dell’acqua e cascatone con ammaccatura ginocchio. Nonostante le immediate cure a base di ghiaccio, il ginocchio si è gonfiato e le ha dato fastidio per tutta la sera, con mio grande dispiacere. Ciò non le ha impedito di divertirsi e di incontrare tante persone che già conosceva, praticamente quasi tutti. Grande Giulia!!!
Star indiscussa della serata Margot, ultimo arrivo in casa Barbarossa. Una bambina di una bellezza sconvolgente completamente a suo agio nonostante la musica alta e i festanti. Tutta Papà, senza offesa per Mammà. Un grazie speciale a Maya per la sensibilità dimostrata. E ora via, a praticare con l’importante obbiettivo concordato sempre con Maya (aò sempre in mezzo sta Maya!).

Prima di lasciarvi voglio riportare due notizie lette su Repubblica:

C’è stata una sorta di pulizia negli atenei italiani. Sono state eliminate 469 lauree brevi cosiderate ‘stravaganti’. Ne voglio elencare alcune, quelle appunto riportate dal giornale:
‘Benessere del cane e del gatto’; ‘Scienze del fiore e del verde’; ‘Enogastronomia mediterranea’; ‘Turismo alpino’. A questo punto vorrei una lista completa. Ci potrebbe essere qualsiasi cosa: ‘Fenomenologia del velluto a coste’; ‘Filosofia del posacenere’ o anche ‘Accumulo e smaltimento delle unghie tagliate’. Si può dire che la cultura italiana abbia fatto un salto in un futuro pregno di sapere.

In Canada hanno diffuso le foto di quattro rapinatori dalla curiosa tecnica. Aspettano nei pressi di un bancomat che qualcuno prelevi del denaro. Una volta effettuata l’operazione il malcapitato viene investito da una pioggia di merda liquida. A quel punto entrano in azione i complici dello spruzzatore, che fingendosi cittadini solidali, aiutano lo smerdato a pulirsi mentre gli sfilano i verdoni. I quattro pericolosi malviventi sono accusati di ‘Rapina a mano sporca’. Secondo me dovrebbero dargli un premio per l’originalità della tecnica adottata.

Dopo avervi cambiato l’esistenza con queste notizie di vitale importanza mi eclisso. Alla prossima!

giovedì 27 maggio 2010

Eccoci qua!
Dopo un minimo di latitanza, ho delle cose da raccontare. Vedo con grande piacere che i lettori fissi del mio blog sono aumentati. Grazie!
Per chi ancora non lo sapesse, da ormai un anno ho abbracciato la fede Buddista. In particolare il buddismo del maestro Nichiren Daishonin. Sabato scorso ho ricevuto il gohonzon: la pergamena oggetto di culto davanti alla quale si prega/pratica la formula Nam Myoho Renge Kyo. Il ricevimento si è tenuto al kaikan, il centro della Soka Gakkai International (SGI) che è l’organismo a cui si appoggia questa branca del buddismo. Al contrario di quello che pensavo, e che forse temevo da un certo punto di vista, la cerimonia è stata molto semplice e piacevolmente festosa. Nessun imbarazzante sfarzo, che è anche uno degli aspetti a mio avviso positivi di questa religione laica. Se ci fosse stato un Dio o qualsiasi altra cosa trascendentale da venerare, neanche la mia ombra si sarebbe avvicinata. Non è nelle mie corde (per usare una terminologia educata).
Sono arrivato al centro insieme a Richard, l’amico che mi ha introdotto (=messo in mezzo‼) al buddismo (nella terminologia buddista io sono il suo shakubuku), e ho fatto il check in. Che, in questo caso, non significa consegnare valigie e partire in volo ma registrarsi consegnando un foglio compilato con dati anagrafici e altro, accompagnato da due foto. Come al solito, grazie al mio cognome, sono il primo della lista. Reminescenze da incubo scolastico affiorano immediatamente dalle profondità del mio cervello, del tipo:«Oggi interroghiamo il primo e l’ultimo del registro di classe» o anche «Interrogazione in ordine alfabetico!». Non c’è ultimo banco che ti nasconda. Infatti l’immancaile commento arriva subito:«Eccoti qua, sei il primo!». E ti pareva. Speriamo non sia così anche dopo la morte:«A come Amurri ti reincarni in A come Asparago!».
Effettuata la registrazione entriamo in questa grande sala di preghiera (butsuma) piena di sedie, in fondo alla quale c’è un palco con sopra un bellissimo butsudan (la struttura/armadio che contiene il gohonzon). C’è tanta gente ed è in atto una recitazione guidata da Alberto un responsabile del centro. Richard mi parcheggia in prima fila, si siede dietro di me e ci uniamo alla preghiera. Prima di entrare mi aveva posizionato legandomelo al collo il porta gohonzon: un lungo involucro dove viene infilato il gohonzon appunto all’atto della ricezione. Dono di Maya, una dolcissima ragazza che ho conosciuto da poco, di colore arancione (il porta gohonzon non Maya). Come abbia fatto a sapere che l’arancione è il mio colore preferito è uno di quei dubbi che è bello rimangano piacevolmente tali. Finita la preghiera con i quattro Nam Myoho Renge Kyo di chiusura, Alberto prende il microfono e annuncia che subito dopo la recitazione del Gongyo (una preghiera che si recita due volte al giorno) avverrà la consegna dei gohonzon. Tredici per l’esattezza. Finita anche questa preghiera inizia la consegna. Alberto scende dal palco e ci si mette davanti mentre le biacuren, ragazze che svolgono attività di assistenza all’interno del centro e non solo (non so se il termine sia giusto anche per indicare i ragazzi), gli porgono i gohonzon. Uno a uno (io per primo..) lo riceviamo e torniamo a posto. Alla fine scoppia l’applauso fragoroso di tutti i presenti. Alberto prende il microfono e dopo un breve discorso augurale, anche molto divertente, congeda tutti i presenti. Nei giorni precedenti tutti gli amici buddisti mi avevano preannunciato la grande emozione che avrei provato in questo momento. La realtà è che non mi sento così emozionato, almeno non ancora. Shaila ed Esther, due amiche che sono state così carine da venire, si precipitano a salutarmi. Tutti gli amici presenti hanno un regalo pronto in mano. Libri e oggetti per allestire il mio butsudan. Neanche il giorno del mio compleanno ne ricevo così tanti. Tornati a casa, iniziamo i preparativi per una cena a base di sushi, che Richard da grande cuoco che è ha organizzato per commemorare l’evento. L’appuntamento con gli invitati è per le sette e mezza, orario di apertura del gohonzon. Ci sistemiamo nel mio studio (non so come siamo riusciti a entrarci tutti) dove ho deciso di metterlo e iniziamo a recitare con il butsudan aperto, completo dell’oggettistica rituale (ampollina con l’acqua, campana tibetana che già avevo, porta candele dorati e guardiani) ma ancora vuoto. Durante la preghiera Richard e Maya aprono la scatola che lo contiene e lentamente, con gesti delicati me lo srotolano davanti. Ecco, questo momento è davvero emozionante. Ora capisco cosa intendevano dire. Sento un grande calore invadermi il corpo. Li guardo, anzi lo guardo mentre lo posizionano dentro il butsudan. Concludiamo la preghiera e anche qui grandi festeggiamenti. Poi recitiamo gongyo, e sono io a guidarlo. E’ una preghiera particolare, dove si recitano due capitoli del Sutra del Loto, il libro su cui si basa la religione buddista di Daishonin. La sanno tutti a memoria tranne ovviamente me, che leggo da un libricino. Finito gongyo, altre grandi feste e ci trasferiamo in salotto a mangiare. La serata è proseguita magnificamante. Devo ringraziare tutti per il supporto, i magnifici regali, i fantastici nuovi incontri. Leggendo le dediche sui libri e i biglietti di auguri il light motif è la felicità per l’inizio di questo nuovo viaggio. A questo punto il check in al kaikan ha molto più senso...

martedì 20 aprile 2010

Sono sul volo di ritorno da New York. L’assistenza aeroportuale americana ha confermato il suo scarso livello di preparazione. Arrivato davanti all’ingresso dell’aereo mi hanno trasferito sulla mini sedia prendendomi in modo sbagliato. Vederli armeggiare con le cinture di sicurezza senza avere la minima idea del loro funzionamento, è come vedere un bambino davanti a una formula di fisica quantistica. Alla fine le annodano tipo corda. L’ingresso è disastroso: prima rischiano di farmi cadere perché le cinture chiaramente non reggono; poi si accostano troppo al portellone dell’aereo e mi scartavetrano un braccio contro il ferro. Mi domando se riuscirò ad arrivare al posto ancora vivo.
Gli ultimi giorni a New York sono stati belli ma freddi. Tanto che la sera siamo rimasti a casa e ci siamo cucinati un paio di cene. Ero quasi contento di tornare se non fosse stato per l’ultimo giorno, che mi ha fatto tornare la voglia di vivere nella grande mela. Ho incontrato la mia amica Costanza che ci vive da quattro anni. E’ venuta a prendermi e mi ha portato a visitare il suo quartiere: ‘Dumbo’. Ovvero downtown Brooklyn subito al di la del Manhattan bridge. Ho avuto il piacere e l’onore di vedere il suo bellissimo studio e la sua accoglientissima casa. Costanza è un’ottima cantante, musicista, produttrice e anche ingegnere del suono. Oltre che essere una persona speciale. Siamo andati sul fiume a goderci la vista di NY al tramonto e siamo passati sotto al ponte dove il nostro caro Sergio Leone ha girato ‘C’era una volta in America’. Nel ’92, quando vivevo in città, qui non c’era anima viva in giro. Era pericoloso. Le case costavano pochissimo. Ora è tutto tranquillo e rinnovato, e i prezzi naturalmente sono lievitati.
Alle nove una macchina ci ha prelevato davanti allo studio di Costanza per portarci al party di una premiere di un film per la televisione prodotto da HBO (famoso canale americano). Susan, protagonista del film insiema ad Al Pacino e John Goodman, mi aveva invitato anche allo screening del film che purtroppo si svolgeva in un ‘landmark building’, antico edificio costruito all’insegna delle barriere architettoniche. Il party si teneva al ‘Four Season Restaurant’, luogo super chic, dove la felpa verde acido della nazionale messicana di calcio portata da Miky faceva il suo sporco effetto. Due tavoli con buffet assortiti (dagli gnocchetti al ragù al sushi) alle estremità di una grandissima sala caratterizzata da un immenso lampadario a forma di ragnatela. Tavoli addobbati con orchidee viola meravigliose e una serie di camerieri che giravano offrendo vino bianco e champagne. L’unica accortezza: non lasciare il bicchiere pieno a metà sul tavolo perché veniva considerato finito e portato via in un decimo di secondo. Voltavi lo sguardo e spariva, come per magia. Tra le tante persone conosciute durante la serata mi hanno presentato Josh, un ragazzo poco più piccolo di me dal viso simpatico. Parlando viene fuori che fa il musicista e il produttore. Ha solo fatto le musiche di due documentari: Man on wire e The Cove entrambi premi Oscar. Ha uno studio downtown poco lontano da casa ‘mia’. Mi invita subito. Purtroppo parto il giorno dopo e la mattina ho un miliardo di cose da fare. Non ce la posso fare. Lo ringrazio e rimando al mio prossimo viaggio. Di li a poco, dopo aver bevuto il giusto e anche qualcosa in più, ce ne siamo andati. La macchina con l’autista russo di poche parole è venuta a riprenderci per portarci a casa. Durante il tragitto capisco che ho una gran voglia di vederlo lo studio del tipo. Così , spinto anche dall’insistenza di Costanza (anche lei desiderosa di vederlo), abbiamo deciso di mandargli un sms: «Ciao Josh, ma per caso vai a studio dopo il party?».
Risposta quasi immediata: «Si tra poco, vuoi passare?».
Certo che voglio Josh. Chiaramente siamo arrivati in zona prima noi. Non è stato difficile perdere tempo e farsi un bel rum da Schinler. Finito di bere ci siamo diretti all’indirizzo dello studio. Ci viene a prendere fuori perché ci sono da fare due rampe di scale a salire. La vista dello studio è scioccante. Si tratta di un antico teatro vaudeville del diciannovesimo secolo perfettamente conservato. Enorme. Con una gradinata che scende fino al palco pieno di qualsiasi strumento, amplificatore vintage ti venga in mente. C’è addirittura un gong. Illuminato da lampadari appartenenti all’antica struttura. Un juke-box e un lungo tavolo con due sedie subito davanti al palco. Un pianoforte a coda con dentro il bar al posto delle corde. Da una parte c’è addirittura un letto a baldacchino. In cima alla gradinata c’è la regia: una stanza rettangolare piena di chitarre, con un rack pieno di strumenti e un tavolo con schermo 22’’ e un controller per protools. Alla destra del tavolo una serie di tastiere vintage una più bella dell’altra. Josh ci fa sentire il disco di Sizzla (un cantante jamaicano molto bravo) appena registrato e qualche pezzo (tutti scritti da lui sia testi che musica) che farà parte di una colonna sonora per un documentario sull’autismo. Performers: Crosby Stills and Nash, Anthony, Scarlett Johansson. E bravo Josh‼ Ci salutiamo con l’invito a venire anche tutti i giorni se ci va. Se vivevo a NY mio caro Josh ci rimanevo anche a dormire nel tuo studio. Un paradiso terrestre per chi ha voglia di fare musica e scrivere.
Arrivati sotto casa ci salutiamo tristemente anche con Costanza. Abbiamo passato una giornata splendida insieme e dispiace che sia stata l’ultima della vacanza.

Nel frattempo l’aereo è bello che arrivato. Volo perfetto. Non ho avuto motivo di avere paura. Ho solo maledetto i viaggiatori in prima classe. Dal mio scomodissimo posto potevo vedere la super comodità dei loro, la possibilità di stendersi, lo schermo quattro volte più grande e il cibo sicuramente più buono. Non trovo giusto che un disabile con le mie problematiche debba viaggiare con mille difficoltà. Il passaggio alla businness class dovrebbe essere automatico per una serie di patologie. La gente non si rende conto purtroppo.

Ora sono a casa. Sono stato alla mostra di Hopper e mi sono ubriacato in un ristorante giapponese. Sento già l’oppressione di questa città che ti fa passare la voglia di fare. Elimina qualsiasi ispirazione. Basta leggere un giornale o fare una passeggiata in centro per essere assaliti da un senso di disgusto. Ma che sono tornato a fare? Almeno il vulcano poteva darmi una mano. Si fosse incazzato qualche giorno prima, starei felicemente bloccato a New York. Unica soluzione: non uscire mai da casa. Scrivere, scrivere, scrivere. A presto.

domenica 11 aprile 2010

Sono andato a vedere il ''ping pong club'' di Susan, la mamma di mia nipote Eva. Il posto si chiama ''Spin''. Si trova sulla ventitresima strada tra Madison e Park Ave. Lo spazio è fantastico, si scende sottoterra e si entra im un mega stanzone con undici tavoli: dieci messi in fila in due gruppi di quattro e uno di tre, più l'ultimo ''centrale'' davanti a un lungo bancone bar e circondato da piccole gradinate di metallo. Quello dove si tengono i main events durante la settimana. In più c'è anche un ristorante con alcuni tavoli di fianco al bar. Arredato con gusto, luci soffuse intorno ai tavoli ben illuminati, schermi appesi ai muri. Cameriere attraenti che vengono a prendere l'ordinazione. L'evento della serata era il ''Dirty Dozen''. Un torneo settimanale che si svolge ogni venerdì tra i dodici più forti giocatori del club. Premio finale da 500 dollari. L'accoglienza è stata fantastica. Il manager del club ci ha scortato vicino al tavolo centrale e ci ha offerto da bere. Dopo pochi minuti si è presentato uno dei proprietari soci di Susan, un trent'enne di bell'aspetto di cui non ricordo il nome. E' rimasto a chiacchierare a lungo, e si è raccomandato di ordinare qualsiasi cosa volessimo. Dopo una mezz'ora è arrivata Susan. Siamo stati insieme tutta la sera, ammirando i bravissimi giocatori in partite mozzafiato accompagnati da due mc's che ne decantavano le gesta. Tra una partita e l'altra balletti di breakdance (un po' scarsi a dire il vero) e gare di abilità nello scolarsi boccali di birra a tutta velocità. Very american style. Agghiacciante per un europeo con un minimo di cultura. Molti giovani e ricambio un po' più adulto da una certa ora in poi. Tutti i tavoli costantemente pieni e moltissima gente al bar e al ristorante. Insomma serata perfettamente riuscita. Susan mi ha presentato tantissime persone, è stata molto carina. Credo ci sia il suo zampino anche nell'approccio ''out of the blue'' di una prorompente ventiquattrenne dell'Oklahoma, addetta all'ingresso del locale, sufficientemente ubriaca da parlarmi per un'oretta in spagnolo, pretendere il mio numero di telefono e rammaricarsi per il fatto che non vivo a NY. Che chiedere di più a una serata?

Il giorno dopo ho avuto l'immenso piacere di vedere mia nipote Eva, che non incontravo da sei anni. Ci siamo dati appuntamento in mezzo a Union Square. Si è presentata col suo nuovo ragazzo, molto carino e simpatico, ex giocatore dei Galaxy di Los Angeles che ci ha lasciato quasi subito per andarsi a vedere Barcellona-Real Madrid (giustamente direi). E' stato molto emozionante, abbiamo parlato per un'ora e mezza di qualsiasi cosa, tra grandi risate. Ci siamo accorti di pensarla allo stesso modo su parecchie cose. L'ho trovata in splendida forma, felice e ci siamo dati appuntamento a Roma per l'inizio dell'estate. Anche perchè per una che vive a Los Angele e uno che vive a Roma, incontrarsi a New York è veramente strano o perfettamente sano, non saprei scegliere. Ci siamo entrambi rammaricati di non poter passare più tempo insieme, lei doveva rientrare subito a L.A. per lavoro. Non ho problemi nel dire che è stata la più bella cosa che è successa a NY fin'ora.

Domenica mattina alle 9 ero schierato insieme a una ventina di romanisti al ristorante ''La Sora Lella'' a vedere la partita della Roma. Clima un po' freddo all'inizio, della serie: chi è questo? Porterà male? Dopo il secondo gol ero già uno di loro. Alla fine baci e abbracci e tutti felici per questa grande Roma prima in classifica. Quasi mi toccherebbe rimanere fino alla fine del campionato (se qualcuno sponsorizza io rimango eh...).
Subito dopo sono andato a prendere un'incazzatissima Sabina, reduce dalla sua mostra di gioielli andata male, per recarci al Metropolitan Museum. Qui mi tocca aprire una polemica sulla scarsa accessibilità di NY, che è qualcosa che uno non si aspetta. La metropolitana non è accessibile. Solo pochissime stazioni hanno gli ascensori. E questo ha limitato non poco la mia mobilità in città. I taxi per disabili praticamente non esistono. Ne ho intravisti due, chiaramente occupati, in cinque giorni. Puoi richiedere un furgoncino attrezzato ma è molto costoso. Gli autobus sono tutti accessibili, ma per arrivare al museo ci è voluta un'ora e due dollari e mezzo di biglietto. Per di più hanno un sistema di sicurezza molto scarso. Per non parlare dei marciapiedi disastrati e dell'accessibilità ai negozi anch'essa molto scarsa.
Il Metropolitan è uno dei musei più belli del mondo. Ci vogliono almeno tre giorni per visitarlo nella sua interezza per non fare overload di informazioni. Cosa che immancabilmente abbiamo fatto uscendo col cervello in ebollizione. Tre ore al cospetto di opere e manufatti di qualsiasi genere e provenienza epocale. Uno dei ''must see'' di NY. Notate bene, il biglietto costa venti dollari ma se si dichiara di voler entrare con una semplice donazione anche di due dollari, si può. Solo che non c'è scritto da nessuna parte. O lo sai o paghi il biglietto. Risultato: sessanta dollari pagati.

Non faccio che pensare al ''povero cristo'' della mostra al New Museum. Oggi camminando su Houston st. l'ho anche intravisto. Forse aveva finito il turno. Aveva un non so che di trascendentale, per fortuna camminava sul cemento e non sull'acqua. Se lo incontro di nuovo lo fermo.

venerdì 9 aprile 2010

Et voilà! Arrivato a New York City. Il viaggio è stato tranquillo. La Delta offre il peggior pasto che mi è capitato di mangiare su un volo. Un pollo di marmo, accompagnato da un pugnetto di riso scotto all'ennesima potenza, dei cavoli bonsai, un parallelepipedo di ceddar cheese anch'esso marmoreo e un simil tiramisù cammuffato da tiramisù. In compenso lo schermetto interattivo montato su ogni sedile offre una vasta scelta di film, spettacoli tv e videogame che mi hanno distratto dal pensiero di essere a diecimila metri da terra. Solo il movimentatissimo atterraggio, causa forte vento, mi ha riportato alla mente pensieri di morte imminente. Devo spezzare una lancia a favore dell'assistenza aeroportuale italiana. Carini, preparati, efficenti. Una ragazza mi ha scarrozzato dal check in al gate del volo, accompagnandomi perfino a fare acquisti al duty free. Altre due mi hanno trasferito sulla sedia da aereo (finalmente munita di cuscinetto) e mi hanno posizionato sul sedile con grande professionalità. Al contrario della controparte americana. Atterrato al JFK di New York, sono arrivate due tipe che non avevano la forza di sollevarmi. Se non ci fosse stato Miky starei ancora seduto in aereo. Per non parlare dell'incapacità totale a posizionare le cinture della mini sedia a rotelle, anche qui l'aiuto di Miky è stato fondamentale. E non è tutto. Passati i super controlli di ammissione con tanto di foto segnaletica e impronte digitali (ne hanno dovuto fare a meno nel mio caso), abbiamo aspettato due ore che arrivassero i bagagli. Pensavo fosse l'Italia il paese più lento a riconsegnarli. All'uscita la macchina che avevo prenotato se n'era chiaramente andata. Ho chiamato la ditta che me l'ha prontamente rimandata (con aumento della tariffa). L'autista indiano ha sparato lo stereo a cannone con il meglio delle pop hits orientali e, sbattendo le mani sul volante a tempo di musica, si è lanciato sulla strada neanche fosse rincorso dalla polizia. Fortuna che il mio assistente Nilushe mi ha abituato al tipo di guida orientale, quindi il tragitto è stato anche divertente. Meno per Miky che è stato sul punto di vomitare per tutta la durata della corsa.

Il loft dove ho affittato una stanza è bellissimo. Al settimo piano con l'ascensore che si apre direttamente all'interno della casa. Ha un enorme salone con cucina annessa, tre stanze da letto e due bagni, parquet ovunque, divani a profusione e un 42'' Samsung invidiabile. Arredato con discreto gusto direi. Pieno di orchidee e soprattutto un blocco distante da dove abitavo nel '92.

Il primo impatto con la città è stato scioccante. Niente di ciò che conoscevo esiste più. Il caffè dove facevo colazione è diventato un ristorante, uno dei locali che frequentavo di più un negozio di vestiti. Il mio quartiere un tempo completamente spoglio, è pieno di negozi, ristorantini, bar e chi più ne ha più ne metta. Anche il lower east side, che era quasi infrequentabile, si è trasformato in zona commerciale. Da un lato è meglio: si può girare tranquilli senza stare in costante tensione che qualcuno ti derubi pistola in pugno. Dall'altro è andato perduto il fascino dark di questa città, manca il ''lato oscuro della forza''. Non c'è equilibrio. Ma è un discorso lungo.

Ho avuto il grande piacere di incontrare, dopo vent'anni, un grande amico con cui ho fatto il servizio militare. Vive e lavora qui da quindici anni. La cosa fantastica è che mi sembra di non averlo mai perso, dopo esserci raccontati a grandi linee quello che avevamo combinato è stato come se il tempo non fosse passato. Credo che questo succeda solo tra amici veri.

Stamattina sono andato al New Museum of Modern Art a vedere una mostra di una collezione di un filantropo greco, curata da Jeff Coons. Tra le tante cose orribili e sessualmente deviate, c'era un installazione umana. Una croce con un Gesù Cristo in carne ed ossa con tanto di corona di spine ''crocifisso'' con cinghie e maniglie a cui tremolante si aggrappava. Con vicino una scala per scendere di tanto in tanto a riprendere fiato. E' proprio il caso di dire: ''povero cristo''. Ma quando uno acquista un'opera del genere, si porta a casa anche l'essere umano? E chi lo nutre?

lunedì 5 aprile 2010

In procinto di...

Tra due giorni ho l'aereo per New York. Stamattina ho portato i cani a scuola di obbedienza, come faccio regolarmente due volte a settimana, e li ho anche mollati la. Preferisco lasciarli in pensione alla scuola, così stanno in compagnia canina e continuano il lavoro con l'istruttore. Il problema è che io non sono affatto abituato a stare senza i miei adorati cani. Sono passate due ore e già mi mancano. Fin'ora il pensiero del viaggio era alquanto astratto. Adesso che guardo fuori in giardino e non vedo i quadrupedi rosci, ho la certezza che sto effettivamente partendo.

Da quando sono disabile ho cambiato modo di fare la valigia. O meglio, il modo è lo stesso sono cambiate le cose da metterci dentro. I vestiti rappresentano la percentuale minore dello spazio occupabile. Il grosso è intasato da: cateteri, buste per l'urina, guanti, traversine, medicine, creme e olii idratanti, pinzette usa e getta, garze, cerotti. Per non parlare del materasso tempur antidecubito e della sedia da viaggio per la doccia (e la cacca). Questi ultimi due elementi ''per fortuna'' viaggiano soli, sono anche loro valigie. Altrimenti avrei bisogno di un container. L'unico vantaggio è che molti oggetti vengono usati e buttati nel corso della vacanza, liberando lo spazio per le new entries dello shopping in loco (tiè inglese-latino-italiano in mezza riga).

Sono circa due anni che non prendo l'aereo. L'ultima volta, come avevo riportato sul blog, l'assistenza a Fiumicino è stata pessima. Non vedo l'ora di testare i progressi che sicuramente in due anni ci saranno stati. Anche se nutro seri dubbi in merito. Ciò che non è sicuramente cambiato di una virgola è il mio terrore di volare. Sto valutando quali e quanti tipi di tranquillanti portarmi a bordo. Sto anche valutando la somministrazione di una pre-anestesia di quelle che ti danno in ospedale prima di entrare in sala operatoria. Ho trovato, nascosto tra le tante medicine che ho in casa (tutti hanno un armadietto, io ho un armadio a due ante scorrevoli), un addormentatore che tempo fa mi aveva rifilato il mio psicologo. E' così forte che potrebbe bastarmi anche per il ritorno. Nel qual caso la vacanza si trasformerebbe in una terapia del sonno. Ho già pronto il titolo del resoconto:«In viaggio con l'addormentatore».
Se non dovesse funzionare ho materiale per distrarmi: due episodi di due differenti serie tv, sei film, quattro libri e dodici giga di musica. E poi ci sono sempre le fantastiche bottigliette di alcohol da aereo. L'ultima spiaggia. Se vi viene in mente qualche altra soluzione scrivetemi pure, accetto consigli.

venerdì 2 aprile 2010

Un altro Sabato dai Fooders

Sabato scorso sono stato alla seconda serata musico-gastronomica organizzata dai Fooders nel loro splendido loft a S. Lorenzo. La bellissima cornice, già da me raccontata in un precedente post, ha mantenuto la sua magia. Stavolta il trio jazz dell'ottimo chitarrista Cristiano Mastroianni, ha caratterizzato una serata più tranquilla della precedente ma altrettanto memorabile. Il cibo è stato il vero protagonista dell'evento (e come te sbagli!), sempre legato al sud degli Stati Uniti d'America. Un fantastico antipasto con caponatina e direi sublime torta di granchio, uno di quei piatti che dovrebbero far parte del quotidiano nella vita di un uomo:«Che ci mangiamo oggi?»
«Ma facciamoci una bella torta di granchio!»
Per poi passare al clou della cena, il Gumbo, uno stufato con crostacei di fiume e riso da leccarsi i baffi e la barba. Di secondo un'insalata di patate e delle salsicce speziatissime super saporite. Il tutto accompagnato da un ottimo corn bread. Per finire un lemon cheese cake che non ho mangiato (troppo pieno) ma che a detta di tutti era fantastico. Ora attendo con ansia il 17 Aprile la cena giapponese. Tornerò da New York il 16 e verrò alla cena avvolto nel kimono del cambio di fuso, che sarà ancora più aggravato dalla sbronza di rito che mi prenderò in aereo. Sapete, mi piace tanto volare...

martedì 9 marzo 2010

Pensavate che la storia del comando del letto fosse finita? Vi sbagliavate. Ecco a voi la terza e, spero, ultima puntata. Potrei quasi definirla una fiction. Devo fare una piccola premessa: il giorno che il comando ha smesso di funzionare, l'ho portato all'elettronica Vincenzi sotto casa per un controllo. Il danno più comune sono le saldature dei fili che saltano. Il tecnico del negozio ha escluso categoricamente che potesse trattarsi di un guaio elettrico. Anche il tecnico dell'ortopedia Territi, pur di non scomodarsi a venire, l'ha escluso. Ma veniamo alle novità.
Mi è arrivato, dopo cinque giorni di attesa, il nuovo comando. Ho dovuto anche pagare ventidue euro di sdoganamento (oltre ai 190 del costo dell'oggetto). Crepi l'avarizia, finalmente tornerò tra i comuni mortali. Sono finiti gli strappi e il mal di schiena; è finita la dipendenza da due persone che mi scaraventano sul letto come un sacco di patate; posso portarmi a letto una donna e dormirle anche accanto. Non mi sembra vero che l'incubo sia finito.
Infatti non è vero.
Il nuovo comando non funziona. Almeno con quello vecchio qualche funzione ancora era sopravvissuta. Questo non da alcun segno di vita. Mando immediatamente una mail agli svizzeri cercando di mantenere la calma. Telefono all'ortopedia e qui la calma non ci provo neanche a mantenerla. Alla mia ennesima richiesta di assistenza (richiesta urlata) mi rispondono stizziti che mi devo far aiutare dagli svizzeri. Attacco, chiamo il mio avvocato e gli intimo di spedire lettere a tutti. Due giorni dopo mi rispondono dalla Svizzera scusandosi e dicendo di stare tranquillo perchè risolveranno il problema. Mi chiedono di mandare una foto del mio comando, dello spinotto e della scatola a cui si attacca, che sta sotto al letto. Dal numero di serie scritto sopra di essa capiscono che mi hanno mandato il comando sbagliato. Mi spediranno subito il nuovo pezzo naturalmente a loro spese. A questo punto il mio assistente mi dice che ha un amico elettricista a cui vorrebbe far controllare se veramente non si tratta di un problema elettrico. Tentare di nuovo non nuoce. Il ragazzo arriva di Sabato e dopo cinque minuti, senza aprire bocca, aggiusta tutto. Si trattava di una saldatura saltata. Due mesi e dieci giorni di difficoltà per un problema 'categoricamente escluso'. Amareggiato calo l'ennesimo velo pietoso. Voi che fareste? (Fermo restando che la lettera dell'avvocato è già partita).

venerdì 19 febbraio 2010

Tra i compiti dell'assistenza domiciliare, c'è anche quello che riguarda la fisioterapia. Oltre a mandare l'infermiera a domicilio, devono mettere il paziente in contatto con un centro di riabilitazione che sia in grado di mandare un fisioterapista a casa tre volte a settimana. Tre sedute settimanali, ognuna della durata di un'ora. Per richiedere tale servizio basta recarsi dal medico curante, farsi fare una richiesta con su scritto «fisioterapia» e mandarla via fax al CAD di appartenenza. A quel punto si entra a far parte di una lista d'attesa. Si attende che venga un fisiatra a fare una visita domiciliare per stabilire il tipo di assistenza fisioterapica di cui si ha bisogno. Niente di più semplice.
Ecco. Io attendo pazientemente dal 20 di Settembre, data in cui ho spedito il fax e sono stato messo nel purgatorio in attesa della visita che mi lascerà passare nel paradiso degli assistiti. Dove finalmente riceverò l'inetto di turno che verrà a fare il compitino assegnatoli, muovendomi le gambe su e giù con scarsa convinzione e altrettanto scarso metodo. E io attendo...

mercoledì 17 febbraio 2010

E' venuta l'ora di fare nomi. La sanitaria in questione si chiama Territi. Dopo l'ennesima telefonata dove mi è toccato ascoltare il solito ritornello sulle difficoltà che la ditta faceva riguardo alle spedizioni, ho deciso di muovermi da solo (cosa che avrei dovuto fare da tempo). Ho navigato una decina di minuti su internet e ho trovato sito e contatti della ditta produttrice del letto: la Auforum AG svizzera. Ho provato a contattarli telefonicamente ma rispondeva una segreteria telefonica in lingua svizzero-tedesca che non capivo. Ho mandato una mail spiegando dettagliatamente il problema e l'urgenza di risolverlo. Dopo tre giorni mi ha risposto il Sig. Flury del team-sacon, il gruppo che si occupa dei letti Sacon appunto, che si scusava per il ritardo della risposta e mi elencava, con tanto di foto, i tipi di comandi esistenti. Così in un secondo ho riconosciuto l'oggetto che serviva e ho risposto immediatamente con il numero del modello. Richiedendo anche le coordinate bancarie per effettuare il pagamento. Tempo un'ora mi è arrivata una nuova mail del Sig. Flury che mi ringraziava per la celere risposta e mi comunicava i dati della banca. Appena riceverà il bonifico farà partire la spedizione del comando che impiegherà tra i tre e i cinque giorni ad arrivare. Passano altri tre giorni ed ecco arrivare un'altra mail, dove Mr. Flury mi conferma l'arrivo dei soldi e l'immediata spedizione dell'oggetto, ringraziandomi ancora per la precisione e raccomandandosi di avvertirlo appena lo riceverò per assicurarlo sul corretto funzionamento del letto.
Ecco. Adesso vorrei che qualcuno mi spiegasse perchè quello che la sanitaria Territi non è riuscita a fare in un mese e mezzo, io l'ho fatto in sei giorni. E' possibile che in questo paese funzioni tutto così male? Che la gente menta o faccia finta di fare le cose? Come dovrei comportarmi ora? Denunciare il titolare della sanitaria per avermi fatto vivere nel disagio più totale e per aver causato guai fisici a me e al mio assistente, che per pisizionarmi a letto si è rotto la schiena per la fatica? Ho richiamato la sanitaria e la risposta della segretaria è stata che secondo loro trattano diversamente i privati e le ditte (ennesima cazzata). Ho chiesto di parlare con il titolare ma non era presente al momento. Penso proprio che ora parlerò col mio avvocato e vedremo cosa fare. Comunque vale sempre la legge universale: chi fa da se fa per tre, e anche per dieci a volte.

sabato 30 gennaio 2010

Anni fa, esattamente dodici, ho acquistato con l’aiuto della mia famiglia, un letto marca Sacon. Praticamente la Ferrari dei letti motorizzati. Oltre alle funzioni normali di ogni letto elettrico quali: salita e discesa orizzontale, salita e discesa schienale e salita e discesa piedi – il Sacon sale anche verticalmente permettendo al disabile, legato da un sistema di cinture, di stare praticamente in piedi (ottimo per combattere l’osteoporosi). Il tutto per la spesa di diciassette milioni del vecchio conio, mica fusaglie. Ecco, da un mese a questa parte mister diciassette milioni è bloccato orizzontalmente a un’altezza di circa un metro e venti. Per salirci sopra un normale essere umano dovrebbe eseguire un perfetto salto stile Fosbury (quello del salto in alto professionistico). Io ho bisogno di due persone e anche discretamente muscolose. Ho chiamato la sanitaria che a suo tempo me l’ha venduto. Il tecnico, dopo varie domande e prove, ha stabilito che si tratta di un problema di telecomando. Va cambiato. Purtroppo non ne hanno disponibili (e ti pare) e per ordinarlo bisogna aspettare che passino le festività natalizie perché la fabbrica è chiusa. Incasso il colpo e mi organizzo. Il mio mega lettone matrimoniale formato da due letti attaccati, è diventato improvvisamente un letto a castello. Se invito una donna a dormire da me, dopo aver consumato scomodamente al piano superiore, la devo spedire a dormire di sotto. Neanche fossimo in quinta elementare. Finite le maledette festività richiamo. Ora il problema è mettersi in contatto con la fabbrica in Svizzera. A quanto dice il tecnico, è molto difficile contattarli. Siamo nel 2010 ed è difficile comunicare con una fabbrica di letti in Svizzera? Capirei se stessi chiamando il Burkina-Faso, ma la Svizzera no! Insomma inizia un tira e molla di telefonate surreali che alla fine sfocia nell’ultima di ieri. Il tecnico è riuscito a comunicare con la fabbrica nel Burkina-Faso svizzero, che però non manda il telecomando perché gli costa troppo di spedizione. Ci vuole almeno l’ordine di un letto. Lunedì o Martedì è forse in programma un nuovo ordine e quindi mi richiamerà lui. E se l’ordine salta? Se la persona che vuole il letto cambia idea? Io rimango per sempre al metro e venti? E’ come se uno si compra una Ferrari e fa un incidente. Sfonda uno sportello e per cambiarlo deve ordinare una nuova auto. Voglio fermarmi qui per ora. Voglio aspettare l’epilogo di questa storia, prima di fare nomi, cognomi e sputtanare ditte. Ma sto fremendo... A presto.

lunedì 18 gennaio 2010

Finalmente un sabato diverso!

Ho passato un sabato sera fantastico. La mia cara amica Silvia Volpato ha organizzato, insieme a due suoi amici chef, una cena a tema con musica dal vivo in un loft a S.Lorenzo. L'evento si chiamava ''Jambalaya Funk''. Ai fornelli la coppia ''The Fooders'' più Silvia, il tutto accompagnato dal coinvolgente funk dei ''Roots Down'' una band di vecchie volpi (David Nerattini drums, Paolo Pecorelli bass, Raffaele Scoccia organ, Emanuele Jorma Gasperi guitar) in una cornice spettacolare: il civico 26 di vie degli equi. Un anonimo cancello verde al di la del quale si apre un piccolo mondo incantato. Un cortile dalle mura rosse che sembra una piccola piazzetta di paese, uno studio artistico sulla sinistra, il dietro di un pub sulla destra e, dopo aver percorso qualche metro, l'entrata di questo bellissimo loft che è anche casa dei Fooders. Soffitto alto caratterizzato da molteplici archi in pietra, pareti bianche con pochi quadri (uno enorme raffigurante una non ben precisata coppia aristocratica in posa: effetto dirompente), una colonna quadrata al centro con grandi termosifoni tubulari su ogni lato, cucina super professionale sulla sinistra con sopra un soppalco chiuso con la camera da letto. Accanto alla cucina un grande spazio caratterizzato da un tavolo con computer (apple naturalmente, un pc avrebbe sfigurato), una serie di credenze bianche chiuse senza maniglie (very cool) e il bagno. Luci e lucette varie disposte con gusto e divani, poltrone, sedie antiche e una mini chez long su cui mi sarei adagiato volentieri. Insomma farei carte false per viverci, anche se dal mio punto di vista sarebbe quasi impossibile. Questo testimonia però la bellezza del posto. Ma veniamo al menù, fondamentale direi. Cucina tipica del sud degli Stati Uniti d'America, quella che si sviluppa sulle coste del Mississippi. Un misto di tradizioni native con influenze italiane, spagnole e creole, e una pennellata di Caraibi. Si inizia con la 'Muffoletta' un quarto di panino con salame, formaggio e non so bene cos'altro (un cos'altro buonissimo comunque) accompagnato da delle patatine fritte con ketchup fatto in casa (Silvia ne voglio un vagone!). Per passare poi alle famose 'Buffalo wings' con contorno di 'Boston Baked Beans' e 'Bluecheese dressing sauce'. E per finire con la 'Jambalaya' una sorta di paella con carne di maiale e spezie accompagnata da 'Cole Slow' tra i più buoni che ho mai mangiato. Classica pannocchia di mais e dolce 'Lemon Pie' da leccarsi le dita. Il tutto annaffiato da Budweiser che sarà pure leggera, ma alla quinta inizi comunque a barcollare. Serata risolta per la modica spesa di quaranta euro. Come si fa a essere eternamente grati per un sabato sera romano da ricordare? GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE! ANCORA, ANCORA, ANCORA! Presto per favore!

P.S. Posso fermarmi a dormire la prossima volta? Vorrei risvegliarmi nel cortiletto e sentirmi a casa...
Ah dimenticavo, unico problema del loft...non mi appartiene.

lunedì 11 gennaio 2010

Follia Dilagante

Stamattina, di ritorno da una visita di controllo in ospedale, io e il mio assistente cingalese siamo stati aggrediti da uno squilibrato. Il pazzo si è affiancato con un furgone più grande del mio in prossimità di un semaforo inveendo contro il mio assistente, solo perchè secondo lui viaggiavamo lentamente. Ci ha tagliato la strada ed è sceso come una furia urlando e insultandoci. Ci ha minacciato di morte e ci ha intimato di andarcene subito. Non contento ha continuato al semaforo successivo, sputando sul finestrino e insultandoci pesantemente. Che sia l'effetto Rosarno che si espande come una macchia d'olio? Abbiamo forse scoperchiato il vaso di Pandora della vera natura dell'italiano razzista? Rimane tanta tristezza e una gran voglia di lasciare questo paese.