giovedì 3 dicembre 2009

Im memoria di Roberto

Ci sono cose nella vita che non dovrebbero mai succedere. Eventi per i quali ci dovrebbe essere una sorta di immunità naturale, una legge universale non scritta: un genitore non dovrebbe mai piangere un figlio, un padre lasciare dei giovani figli e per due innamorati ci vorrebbe una soglia sull’età, nessun tipo di complicazione prima dei settantacinque anni. Ho visto Roberto qualche settimana fa. E’ passato a farmi un saluto veloce. Si è fermato sulla porta della mia stanza perché era raffreddato e non voleva correre il rischio di passarmi i suoi microbi. Come al solito abbiamo iniziato a parlare della Roma. Era più forte di noi, dopo il consueto «ciao come stai» partiva la discussione calcistica. O meglio, partiva il monologo di Roberto in Mi maggiore intervallato da quelle quattro o cinque sillabe che mi lasciava pronunciare. Ma a me piaceva sentirlo. I suoi ragionamenti non sempre rispecchiavano la realtà, ma filavano via veloci e sicuri come un’auto da corsa. Anzi, forse il gioco era proprio quello: non vedevo l’ora di accendere il motore per sentirne il rombo imponente. Questa volta non mi hai aspettato, hai acceso il motore e sei partito da solo. Questa volta hai recitato un monologo silenzioso, senza lasciare spazio ad alcuna sillaba. Sei stato troppo veloce amico mio. Ciao Roberto.

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