venerdì 16 gennaio 2009

Tornando al dito infetto.
Sono andato a ritirare le radiografie richieste dal dottore. Radiografie che, per fortuna, hanno scongiurato il pericolo di un osteomielite (infezione dell'osso), ma hanno evidenziato una lussazione palmare della seconda falange. Che chissà da quanto tempo me la porto dietro. Arrivo con qualche minuto di ritardo all'appuntamento col dottore e trovo l'ambulatorio vuoto. Torno verso la segreteria, dove avevo preso le radiografie, e chiedo se possono contattare il dott. Schiaramazzi. Lo trovano e gli dicono che sono lì. Si tratta di prendere un ascensore e scendere due piani. Ma lui non può, deve andare via. Lascia detto che mi potrebbe vedere il giorno dopo alle sette e mezza di mattina. Niente di più semplice per uno che ha bisogno di un'ora e mezza per prepararsi e due persone per scendere dal letto. In quel momento arriva in segreteria l'altro dottore che mi aveva visitato. Il dottor Dell'Uomo. Già, perchè erano in due. Non ne bastava uno per un'infezione a un dito. Aspetto, cortesemente, che abbia finito di interagire con la segretaria e lo fermo:«Scusi dottore, si ricorda del mio dito? Darebbe un'occhiata alle radiografie?»
«No guardi, lei non è un mio paziente, l'ha presa in carico Schiaramazzi.» risponde indietreggiando. Lo seguo e incalzo:
«Ma scusi, qual'è il problema se mi da un consiglio su come procedere con la cura?»
«Che io non ho tempo, ho altro da fare.».
Non ha tre minuti per guardare una radiografia che, tra l'altro, lui ha consigliato di fare. Rimango in silenzio mentre si allontana e sparisce dentro un corridoio. Il mio momentaneo accompagnatore, Enrico, gira la sedia a rotelle e ci avviamo verso l'uscita. Il problema è che a me sta montando una rabbia incontenibile, di quelle che se non le sfoghi subito rischi di avere la nausea nervosa per una settimana. Quindi sfogo. Torno indietro e inizio a inveire a trecentosessanta gradi, sperando in cuor mio di arrivare alle orecchie del dottore. L'onda sonora dei miei insulti investe le due segretarie e un portantino, che rimangono pietrificati come i busti del Pincio. Percorro lo stesso corridoio dove è passato il dottore e sbuco davanti al laboratorio analisi. «Lorenzo che succede?»
Finalmente una voce amica. La dottoressa del laboratorio mi conosce bene. Da anni faccio le analisi da loro. Le spiego concitatamente l'accaduto. Mi tranquillizza e guarda le radiografie. Per la lussazione non si può fare niente, per fortuna non sento dolore. Mi consiglia un antibiotico da prendere per bocca. Dopo quattro scatole, esce ancora pus. Stavolta riesco a far vedere la ferita a Patricia, una mia cara amica e un eccellente chirurgo. Decidiamo di medicare giornalmente il dito con un antibiotico mirato per il batterio che mi tormenta. Ora, dopo poche medicazioni, va già molto meglio. Con un ringraziamento speciale per la disponibilità e il sacrificio al dott. 'Ho il pranzo che mi aspetta devo andare' e al dott. 'Pover'Uomo'.

giovedì 1 gennaio 2009

E' Capodanno.
E' anche il mio trentottesimo compleanno.
Io odio il mio compleanno. Non si tratta del classico 'fa fico odiare il proprio compleanno', molto in voga presso una borghesia nichilista che mio malgrado conosco fin troppo bene, è piuttosto il frutto di una semplice equazione. Compiere gli anni uguale invecchiare. Qualunque sia l'età in questione, il tempo a disposizione diminuisce. Che cazzo ci sarà mai da festeggiare?
Per molti è un 'rito di passaggio' estremamente importante, ricco di riferimenti simbolici; a me sembra più un 'rito di avvicinamento' alla tomba. Inesorabile avvicinamento direi, soprattutto dopo una certa età. Detto questo, è bello passare l'ultimo dell'anno in compagnia degli amici più intimi, notare che il loro invecchiamento viaggia di pari passo col vostro e che se ne vanno ogni anno più presto, accusando stanchezza, acciacchi e difficoltà del caso. Se continua così, tra un po' non riusciremo neanche ad arrivare alla mezzanotte insieme.
E' Capodanno.
E' il mio maledettissimo compleanno.
Mi sento come il Palazzaccio.
Il Palazzo di Giustizia di Roma, detto il 'Palazzaccio', si porta dietro un'oscura leggenda. Si dice che l'architetto, una volta ultimata l'imponente costruzione, si sia accorto di alcune imperfezioni dovute a progetti sbagliati. Vinto dallo sdegno e dalla vergogna, è salito sul tetto dell'edificio e si è buttato di sotto, non prima di aver lanciato una maledizione secondo la quale il palazzo non sarebbe mai stato totalmente a posto (del resto cosa lo è in Italia). Per me si è tolto la vita dopo essersi reso conto della bruttezza di ciò che aveva costruito, fatto sta che così è stato. E' in perenne lavoro in corso.
Così mi sento io.
Sempre alle prese con qualche problema. Una piaghetta sul sedere, un'infezione a un dito, uno sfogo cutaneo. Mai completamente sano. In questo momento sono a letto, mentre il mio salotto è popolato di amici che ballano con tanto di dj. Io preservo il mio sedere ferito rintanato nelle mie stanze come un nobile in decadenza, gli amici giustamente ballano. Che sia anch'io vittima di una maledizione? Voglio continuare a pensare di no. Voglio pensare a qualcosa di bello. Voglio pensare al capodanno passato. Perchè ero più giovane di un anno. Perchè ero con l'unica persona che vorrei accanto in questo preciso istante. Buon anno.

p.s. la visione tragicomica del compleanno-capodanno va ben oltre la realtà dei fatti, ma io l'ho vista così.
probabilmente l'anno prossimo ricorderò quest'anno per gli stessi motivi.
la leggenda del palazzaccio potrei essermela inventata di sana pianta, è capodanno e si beve forte.