mercoledì 17 dicembre 2008

Rieccomi qua. Per i pochi (ma buoni) 'aficionados', scusate l'assenza. Non succederà più, o quasi. Diciamo che ho avuto il 'blocco dello scrittore' che ancora non sono. Il che è abbastanza curioso. Come si fa ad avere difficoltà a fare qualcosa che ancora non si sa fare? Probabilmente Freud avrebbe scritto un trattato in merito:"L'inconscio e le doti innate dell'essere" o, più semplicemente, "Come incartarsi da soli"; io spero solo di aver superato il momento di 'empasse'.
Oggi mi è successa una cosa degna di nota. E' qualche anno ormai che nei periodi di stress, durante la notte mentre dormo pesantemente (le poche volte che succede), mi mangio un dito. Si, avete capito bene. Precisamente una nocca dell'anulare della mano destra. Lo faccio inconsciamente (vedi Freud), e certe volte mi sveglio con la nocca ancora in bocca. La cosa è anche un minimo splatter, dato che mi ritrovo sporco di sangue rappreso come un vampiro dopo una notte di baldoria. Circa un mese fa, dopo una bella mangiatina notturna, mi sono svegliato con il dito gonfio e un'infezione con tanto di pus (dai e dai...). Sono andato dalla dottoressa, brava e anche molto bella, che da un po' si occupa, con grande successo, delle mie piaghette da decubito. Mi ha dato una cura a base di antibiotici e polvere disinfettante. Dopo cinque giorni il dito si era sgonfiato e la ferita aveva fatto la crosta. Il problema sembrava risolto, ma due giorni dopo aver smesso la terapia antibiotica il dito si è gonfiato di nuovo e ha buttato pus. Abbiamo riprovato, sempre con antibiotici ma in dose più massiccia, mettendo il dito a mollo in acqua e sale due volte al giorno. Risultato: dito meno infiammato ma sempre gonfio e infetto. Si era formata una piccola fistola interna che si infettava in continuazione. La ferita si chiudeva superficialmente, ma sotto il pus aveva scavato una caverna che arrivava fino all'osso. Oggi sarei dovuto andare al CPO di Ostia dalla mia dottoressa (quella brava e bella) per capire cosa fare, ma la pioggia battente e un inizio di influenza mi hanno fermato. Ho deciso allora, viste le pessime condizioni dell'inerme prensile terminazione, di prendere appuntamento con un chirurgo dermatologo all'ospedale che ho di fronte casa. Alle due e mezza esco, arrivo al cancello del condominio e di colpo mi scende la pressione sotto le scarpe. Vedo tutto bianco, sento il rumore delle macchine ma non vedo niente. Con un filo di voce e a meno di un passo dalla perdita di coscienza riesco a dire:«Sto svenendo portami a casa di corsa». Enrico, il mio nuovo e momentaneo assistente, si spaventa. E' la prima volta che gli capita di vedermi così e l'unica cosa che mi ripete mentre spinge la carrozzina è:«Ti prego non svenire». Arriviamo davanti al cancelletto del mio giardino:«Che faccio ora??».
«Letto», continuo a vedere bianco ma, stranamente, non svengo. Sul letto mi risale la pressione, con il tipico suono di rubinetti aperti nelle orecchie (mai provato?). Mi riposo un attimo e prendo delle gocce per tenerla su. Credo che il malore sia legato all'influenza. Arrivo all'appuntamento con un po' di ritardo. Anche perchè l'accesso all'ospedale non è dei più agevoli. L'uscita si trova proprio sulla via dove abito. Il problema è che bisogna attendere l'arrivo di una macchina che inneschi il sistema di apertura, che si trova sotto l'asfalto qualche metro prima della sbarra. Quando è chiusa non c'è spazio sufficiente per il passaggio di una carrozzina. La cosa buffa è che pur vedendo perfettamente dove si aziona l'apertura, l'unico modo per innescarla è passarci sopra con una ruota. Non importa se carrozzina, automobile o bicicletta purchè rotoli. Se provi a saltarci sopra non succede nulla. Misteri tecnologici. La segretaria delle visite ambulatoriali mi indica la stanza:«Stanza quattro!», esclama, neanche fossimo a cinecittà. Sono l'unico in sala d'attesa, che non è mai un buon segno. Arriva il medico. Racconto brevemente la storia del mio povero anulare. L'infermiera toglie il cerotto e il dottore, dopo aver visionato la situazione, prende una pinza sterile e inizia a cacciarmela dentro il buchino per capire la grandezza della caverna. La infila per quasi due centimetri dentro, rovistando intorno e raschiando l'osso. Passa un minuto e il dottore, mentre continua a rovistare, mi guarda e chiede:«Le fa male?». Lo guardo anch'io per qualche secondo. Giusto il tempo di pensare. Certo che non mi fa male. Per fortuna (...) non ho sensibilità su quel dito, altrimenti il suono delle urla sarebbe rimbalzato per tutto l'ospedale. Magari lo dovrebbe chiedere prima se fa male ai pazienti, e non dopo avergli arato un dito con un pezzo di ferro. Arriva anche un altro medico e insieme decidono che devo aspettare che si riformi il pus per analizzarlo e trovare l'antibiotico adatto al tipo di batterio. Mi incerottano di nuovo e mi congedano cordialmente. Torno dalla segretaria che, cordialmente, mi presenta il conto: cento euro per tre minuti e mezzo di visita. Cordiali Saluti.