venerdì 7 novembre 2008

Arriva alle nove e mezza, puntuale. Mio fratello si è appena seduto accanto al mio letto con una bel piatto di rigatoni alla carbonara tra le mani, quando suona il citofono. Torna in cucina, apre e grida:«E’ Sabi». E’ venuta a prendere un libro che le ho comprato. In realtà è una scusa come un’altra per vederci e cercare di dirci addio una volta per tutte. Un anno che non stiamo più insieme, ma non riusciamo a separarci per più di due mesi. Ogni volta deve essere l’ultima, poi non lo è mai. Questa volta si, siamo più determinati. E’ veramente un addio, lo sento nell’aria. L’affetto è tanto, troppo forse, ma non dipende da quello. Da cosa veramente dipenda, non l’ho ancora ben capito.
Passiamo una serata tranquilla, parlando di quanto non ci va di lavorare; di quanto sarebbe salutare un bel viaggetto di un paio di mesi; del fatto che entrambi stiamo attraversando un periodo di grande fragilità emotiva. Qualsiasi cosa ci fa piangere. Giochiamo a backgammon. Non è capace quindi vince la prima sfida (la solita fortuna del principiante) con i miei preziosi consigli. La seconda la perde, senza i miei consigli, e ci va in puzza. Mi diverto, sto bene, vorrei che questa serata durasse in eterno. Dice che deve andare via, la aspettano. Le faccio leggere una lettera. Non è indirizzata a lei, solo ci tengo che la legga. Piange. Forse ha letto qualcosa di me che non conosceva. Un pezzo della mia storia. Chiama gli amici e dice che farà tardi. Mi abbraccia forte, a lungo. Quasi non respiro più, il mio viso schiacciato sul suo collo me lo impedisce, ma non importa. Sarebbe una bella morte, tra le sue braccia. Senza accorgercene ci baciamo. Con grande naturalezza, mandiamo in frantumi contro gli scogli il bastimento carico di buone intenzioni che avevamo sapientemente tenuto al largo fino a quel momento.
E’ bellissimo. Carico di affetto, passione, paura. Almeno per me. Ma è l’ultimo, lo so. Lo sento. Per questo cerco di assaporarne ogni attimo, ogni sensazione, ogni gusto. Per questo non riesco a smettere e neanche lei. Dopo un tempo che non saprei definire, potrebbe essere passato un secondo come un secolo, ci stacchiamo. Sconvolti, senza parlare ci guardiamo. Lei si aggiusta i capelli fallendo miseramente, sembra aver preso la scossa. Più cerca di aggiustarli più sembra una pazza scappata da un manicomio. Sorrido. Sembra un fumetto. «Meglio se vado adesso,» dice. Lo penso anch’io. Non la trattengo e non mi sento male come le altre volte, quando la guardo uscire dalla mia stanza. Ho combattuto tanto per recuperare questo rapporto, sono stanco. La mia mente ha accettato il fatto che non c’è niente da fare e ha incassato la sconfitta. Non ho più lacrime da spendere e non ho nulla da rimproverarmi. Ho fatto e dato tutto quello che potevo. Sono sereno. Mi mancherà da morire e spero che la vita le dia tutto ciò che cerca. La mia vita ricomincia il suo viaggio ora. Soffia di nuovo il vento dell’incertezza e, a vele spiegate, solco ancora il mare dell’ignoto alla ricerca di nuovi atolli incontaminati. E’ bellissimo…