domenica 29 giugno 2008

LA RICERCA DELLA GOVERNANTE (Reprise) Capitolo 8

La mattina dopo "Soreta" si presenta puntuale. Bionda, occhi azzurri, carnagione chiara tendente al rossastro e qualche chiletto in più del dovuto (per essere gentili). Fa il canonico giro di casa; facciamo la canonica chiacchierata e, sempre canonicamente, dice:«Non ti pentirai di me, starai bene».
Non sono passate ventiquattr'ore che sono già amaramente pentito e mi sento male. "Soreta" è sparita senza lasciare traccia. Cellulare spento. 
Lasciare che uno sconosciuto giri liberamente per casa tua è già difficile di suo. Se poi aggiungiamo il fatto che ogni volta devo spogliarmi (in senso lato) delle mie molteplici e intime problematiche di fronte al pinco pallino di turno, che puntualmente il giorno dopo non si presenta, il peso della ricerca diventa insopportabile. Di conseguenza, la ricerca si fa meno convinta e si tende a rallentare il processo, sperando che una governante piova dal cielo. Cosa che non succede. Anzi, tra le poche persone che ho intervistato mentre mi trovavo in questa terra di mezzo, ne spiccano due: maschi e filippini entrambi. 
C'è una leggenda che imperversa da quando è stato inventato il mestiere di colf: i filippini sono più bravi, più precisi e più affidabili degli altri. Trattasi di leggenda non veritiera, almeno per quanto ho potuto empiricamente constatare. Dei due sopra citati, entrambi in Italia da tre anni: uno capisce a malapena quello che gli dico e non sa cucinare; l'altro alla domanda "Che lavori hai fatto?", mi guarda come se gli avessi chiesto di recitare a memoria la Divina Commedia. 
L'insofferenza della mia ex-governante si sente ormai anche nell'aria. E' rimasta quindici giorni in più del dovuto (come se fossero sufficienti) , per permettermi di trovare qualcun altro. Cosa che fin'ora non è avvenuta. Entra in camera mia e sentenzia:«Tra una settimana me ne vado». 
La guardo senza dire niente. La tensione che sto provando da giorni, improvvisamente si placa. Nonostante mi renda conto di essere sul ciglio di un burrone, sono felice che se ne vada. Evidentemente l'insofferenza non è solo la sua. La notizia comunque mi riporta sulla terra, quella intera non di mezzo, e mi attivo di nuovo. Chiamo caritas, parrocchie, suore, associazioni varie; chiamo amici, vicini, conoscenti. Provo a fare una ricerca su google:"Agenzie badanti", sicuro che non avrei trovato niente. Apriti cielo invece! Compaiono i nomi di una decina di agenzie che si occupano di reperire il personale giusto per ogni evenienza. Badanti, colf, infermieri, cuochi, tutto. Mi sento come se avessi scoperto il senso della vita. Fonti inesauribili da cui posso attingere a mio piacimento. Una schiera di governanti, con tanto di accurata descrizione di ogni soggetto: mansioni, tipo di lavoro ricercato, esperienza, dimestichezza con la lingua, disponibilità. Non è proprio così. La 'nodavo.com', offre una lunghissima lista con i nomi delle persone disponibili. Tramite un piccolo semaforo a una sola luce, posto in alto a sinistra su ogni scheda tecnico-descrittiva, segnalano la disponibilità (luce verde), la trattativa in corso (luce gialla) e l'impiego trovato (luce rossa). Nella scheda troviamo: tipo di lavoro ricercato e target umano preferito. Ad esempio: solo donne anziane autosufficienti; uomini e donne anche non autosufficienti; uomini con un minimo di autosufficienza e via dicendo. Scopro nuove categorie in continuazione; il paese di provenienza e la religione; l'età, dove risiede a Roma, quanti figli ha, se ne ha, la dimestichezza con la lingua; se è munita di patente e disponibile a trattare con animali domestici. Una scheda ricca insomma, alla fine della quale troviamo l'elenco dei lavori svolti e le referenze. Spulcio la lista e inizio a barrare le caselle di quelli che corrispondono al tipo di persona che cerco. Alla base di ogni scheda c'è un pulsante cliccabile, che permette di ottenere i numeri dei candidati selezionati. Clicco. Appare un riquadro con un avvertimento: è possibile contattare un massimo di tre persone al giorno. Io ne ho selezionate otto. Scremo e rimango con tre. Riclicco. Altra finestra: si devono versare quarantotto euro per avere accesso ai numeri di telefono dei selezionati, per la durata di un mese:«Perchè se in un mese non l'ha trovata, non la trova più,» sentenzia l'operatore. Bella cazzata, sono quasi due mesi che cerco e ancora niente. Mi bevo le sue stupidaggini e verso. Ottengo i tre numeri agognati. Risultato: il primo ha trovato lavoro (ma la luce era verde), il secondo sta provando (era verde anche questo), il terzo è spento. Un ottimo inizio. Provo con altre due agenzie online: la prima si chiama 'Privatassistenza' (nome già poco rassicurante) e offre infermieri a ore, assistenza ospedaliera, integrazione badante. Servizio sicuramente utile, ma molto costoso. Parlo con il titolare, persona cortese, che dice di non essere ancora in grado di fornire il tipo di assistenza che sto cercando. Mi assicura però che si stanno organizzando in merito. Ci credo, ma controllerò. La seconda si chiama Luste, e trattasi di cosa più seria. L'agenzia offre una "consulenza esclusiva" nella ricerca di personale altamente qualificato: maggiordomi, cameriere, giardinieri, governanti e quant'altro. Un paradiso di aiutanti. Parlo con una signora molto gentile che, in un attimo: capisce cosa sto cercando, mi dice che ha la persona perfetta per me e mi da appuntamento al giorno dopo. Un'efficienza che mi lascia senza parole. L'unica cosa che mi spaventa è il fatto che la signora, sempre molto gentilmente, mi chiama dottor Amurri. Nella maggior parte dei casi il 'dottor', nasconde il salasso. Arriva domani e arrivano anche loro, puntuali all'appuntamento. L'incontro, all'insegna della gentilezza e dell'educazione, dura un'ora. La governante è italiana, dai modi pacati ma decisi, sa fare tutto: cucina benissimo; mi fa notare che la casa, a suo avviso, è sporca e in disordine (a me sembra pulita e ordinata); mi dice che lei è molto precisa, però le piace l'ambiente rock'n'roll. Casomai reggae, ho i dread lunghi più di un metro. Arriviamo finalmente al costo. La governante, perchè qualificata, prende mille euro al mese; l'agenzia, perchè esclusiva, prende mille euro per la consulenza. Io non ho mai dato più di ottocentocinquanta euro al mese, che è la cifra giusta per questo tipo d'impiego (contratto nazionale). Quindi salasso. E poi è un'ora che la governante recita la parte della tipa affascinante, che non è. Non sono molto convinto, rimaniamo che verrà a provare tra due giorni. La chiamo la sera e le dico che preferisco aspettare di tornare dalle imminenti vacanze. Non batte ciglio e si offre, per sistemarmi casa, fin quando è libera. La ringrazio ma passo. Mio fratello trova un ragazzo peruano, ma viene da un'agenzia che anni prima mi aveva mandato una serie di ubriaconi che levati. Mi rifiuto di averci a che fare di nuovo. Il ragazzo insiste, dice che viene senza avvertire l'agenzia. Ci vediamo. Mi sembra una brava persona, anche se la butta giù pesante sulla cristianità, che per me è un deterrente. Comunque lo prendo. Anche perchè mi dice che la moglie è cuoca di secondo livello, che non so cosa voglia dire, ma suona bene. Carlos, così si chiama, sa fare di tutto: idraulico, elettricista, giardiniere e sa fare le pulizie di casa. In cucina è negato. E' un ex-poliziotto della narcotici (...) e racconta un sacco di storie. Da prendere con le molle. Però è un buono e lavora con grande impegno. Mi chiede se il sabato può far venire la moglie a dormire. Certo. Così cucina. Arriva sabato. Conosco la moglie, che ha lavorato due anni con Enrico Papi (me l'avranno detto venti volte). Lui è alto un metro e sessantacinque; lei, con le zeppe, è comunque più bassa di lui. Porta un cappellino di walt disney con il ventilatorino incastonato nella visiera. Uno spettacolo. E io che mi preoccupavo per le misure del letto nella stanza di servizio. Erica c'entrava appena, per loro è un king size. Ne potrei ospitare una decina con queste misure. Per un attimo penso al film di Burton 'Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato'. Vi ricordate gli omini tutti uguali che cantano e ballano mentre lavorano? Ecco. Me ne immagino una decina, cantanti e ballanti, che mi sistemano casa, cucinano e vanno a fare la spesa. Un sogno. Carlos gli somiglia pure. Dovrò assumerlo e clonarlo. 



lunedì 23 giugno 2008

Roma, 21 Giugno 2008

Oggi sono andato al funerale di un mio amico d'infanzia. Un amico di quartiere, di via, di famiglia. Un amico con la A maiuscola. Non lo vedevo da qualche anno. Strade diverse le nostre: più tortuosa la mia, per ovvie ragioni; più scura e solitaria la sua, e fragile come le ali di una farfalla. Aveva tutto. Bellezza, bontà d'animo, simpatia. Era ricco. Purtroppo tutte queste qualità, come ho tristemente imparato nel corso della mia esistenza, spesso risultano deleterie. Avrebbe potuto girare il mondo senza mai fermarsi, avrebbe potuto togliersi tante soddisfazioni, avrebbe potuto essere ciò che voleva, avrebbe potuto.
Parcheggio davanti alla chiesa di Piazza Euclide. Rimane un mistero il motivo per il quale non abbiano scelto la chiesetta di quartiere, dove, a mio avviso, ha passato il periodo più bello della sua breve vita (nel quartiere, non nella chiesetta). Ai piedi della lunga scalinata che porta all'ingresso della chiesa, mi sorprendo a sperare che il posto non sia accessibile. Ci sono persone che preferirei non incontrare.  E' chiaramente accessibile. Una lunga e poco ripida pedana laterale conduce fino a una delle porte della chiesa, anch'essa perfettamente accessibile. Incontro gli amici di quartiere, questi sì che voglio incontrarli. Ci guardiamo e ci abbracciamo senza dire una parola. Bastano gli sguardi, basta un attimo e siamo di nuovo la piccola banda super affiatata di un tempo. Arriva la bara. Lo stomaco implode, entro. Mi avvicino alla famiglia senza guardarmi intorno, senza incrociare i molteplici sguardi che mi piovono addosso. Abbraccio la sorella e la stringo forte, più forte che posso:« L'abbiamo perso,» mi sussurra nell'orecchio piangendo. Continuo a stringerla. Non riesco a dire niente, ma quelle due parole sussurrate mi scioccano. Rimbalzano impazzite  nel cervello. Cosa vuol dire "L'abbiamo perso"? Che non siamo (siete) stati capaci di aiutarlo? Che l'abbiamo (l'avete) lasciato correre verso il burrone? Bacio la mamma e mi sistemo di lato. Il prete inizia la messa. Per dieci lunghissimi minuti, sbaglia il nome del defunto. Lo chiama Alfredo: si chiama Maurizio. Qualcuno si alza e lo va a correggere. Il prelato ha il microfono davanti alla bocca:«Come?...Maurizio?...Ah scusate». Poco prima aveva dichiarato di conoscere bene la famiglia. Si avvicina il padre, che non vedo da una quindicina d'anni, e mi ringrazia di essere venuto. Non credo si renda conto ancora, forse non ci riuscirà mai. Quando eravamo 'pischelli' appena diplomati ci disse:«Se fate l'università avete ancora tempo da perdere, se no dovete lavorà ma lavorà tanto. Per fare esperienza. Se tu vuoi fare l'artista è un altro discorso». Io ho fatto l'artista; Maurizio non ha fatto l'università e non ha lavorato. 
La cuginetta legge una breve lettera, parla di angeli e paradiso. E' giovane. Le parole semplici, innocenti e scontate che pronuncia almeno sono vere, sentite. Viene il turno di Rudy, un ragazzo del quartiere dirimpettaio di Maurizio. Recita (male) un breve monologo, esaltandone le doti e il fatto che per lui fosse stato, in quegli anni, un modello da seguire. Cosa che non era. Alla fine dell'intervento, sembra quasi che attenda l'applauso della platea. Per vivere fa il produttore cinematografico. Assomiglia terribilmente a De Laurentiis, cosa che gli farà certamente piacere. Finisce la messa.
Mi avvicino alla bara e leggo la piccola targa con il nome e le date di nascita e morte. Mi sento male. Esco dalla chiesa in lacrime. Siamo tutti provando un senso di rifiuto. Si, perchè non si può morire così, a casa come un cane. Il cuore non si può fermare a trentacinque anni. Non può, non deve. 
Sbagliavi, quando ti portavi via il pallone nel pieno di una partita a calcio, di solito quando stavi vincendo, perchè "il pallone è mio e faccio come mi pare"; sbagliavi, quando hai iniziato a non uscire più, a chiuderti dentro la tua stanza, a dialogare esclusivamente con te stesso. Ma lo sbaglio più grande l'hai commesso due giorni fa. Hai sbagliato amico mio, sei andato via troppo presto. Hai portato via il pallone per l'ultima volta. Ciao Maurì.

sabato 14 giugno 2008

DISABILE VS. INPS Capitolo 7

Ho deciso di chiudere il conto dove ricevo l'assegno di 'accompagno' che lo stato, nelle vesti di Inps, mensilmente mi versa. Quattrocentosessanta euro che servono, ahimè, a ben poco. Vado sul sito dell'ente: cerco il modulo scaricabile che permette il cambio di conto. Ce ne sono tanti e per tutti gli usi, troppi usi. Non trovo quello che mi serve. Contatto il numero verde che l'Inps mette gentilmente a disposizione, per chiedere informazioni su dove trovare il modulo e sull'iter da seguire per comunicare le nuove coordinate bancarie. Seguo il solito labirinto digital-telefonico, fatto di vocine registrate e numeri da digitare, che mi porta, dopo circa dieci minuti di combattimento, al tu-tu-tu della linea interrotta. Provo ancora e riesco a parlare con un operatore:«Inps dica,» la linea è disturbata, si sente poco.
«Salve, devo cambiare le coordinate bancarie dove ricevo la pensione. Qual'è il modulo scaricabile da internet?».
«E' ...egato al ..it..».
«Scusi, potrebbe ripetere non si sente bene».
«E' sul sito? Mi segue? E' sul sito? Capisce cosa le dico?» domanda in rapida sequenza con voce stizzita.
«Stia calma signorina non la sento bene, continui» cerco di mantenere la calma.
«Vada su moduli».
«Fatto».
«Vada su ....rat.. ...ns...t.».
«Scusi ripeta per favore, non si capisce».
«Mi segue? E' in grado di fare quello che le dico? Vada sulla voce assicurati\pensionati è il quarto modulo. Mi segue⁇» sempre più stizzita.
A questo punto vorrei vomitarle addosso tutto ciò che penso, ma continuo a trattenermi e a interagire con educazione:«Trovato, grazie. E una volta compilato?».
«Lo porta all'Inps di zona, dove altro?».
«Devo portarlo anche in banca?».
«No, direttamente qui». 
(Non è vero. Una parte del modulo deve essere compilata da un funzionario di banca).
«C'è un ufficio pensioni?».
«Presumo di si».
Ecco. Sono una persona molto paziente, ma la frase "Presumo di si" ha innescato, nelle mie viscere, una bomba a orologeria. Il castello della mia educazione, che fino a quel momento aveva retto ai ripetuti attacchi del nemico audiolesivo, è imploso come un palazzo carico di esplosivo:«Presumo di si⁇,» inizio a urlare, «Lei risponde a un numero verde di un ente per fornire informazioni e presume ci sia un ufficio pensioni? La pagano per presumere? Ma con chi crede di avere a che fare? Sono disabile, mica deficiente (con tutto il rispetto per la categoria). Lei è un'ignorante e una maleducata».
«Le ho detto quello che voleva sapere» e mi attacca in faccia. Potrei andare all'inps con un mitra e uccidere qualche operatore, a caso. Sperando di beccarla. Tanto i tetraplegici in galera non ci vanno. Arresti domiciliari. 
Compilo il modulo e vado all'inps, senza mitra. Passo in banca, dove riempono la parte a loro riservata (qui ci vorrebbe il mitra). C'è un parcheggio interno davanti agli uffici senza posti riservati ai disabili (bravi no?). Entriamo, io e Miky, dalla doppia e scomodissima porta d'ingresso. Nonostante ci vedano in chiara difficoltà, nessuno dei presenti muove un dito per reggere la seconda porta. 
Mi avvicino al banco informazioni: un signore barbuto mi porge un modulo. Io gli mostro il mio modulo già compilato. Lo guarda come se avesse visto un alieno:«Vada pure con quello. Prenda il numeretto, sportello a».
Presumo ci sia un corsia preferenziale per disabili. Presumo male (almeno a me non mi pagano). Prendo il numero: a 30. Siamo al 6 e l'attesa sembra molto lunga. Un signore si avvicina e mi porge il suo numero: a 15. Allora esistono ancora degli esseri umani sensibili su questo pianeta! Lo ringrazio di cuore. Aspetto comunque una ventina di minuti prima di vedere il mio numero brillare, come un rubino, sul display elettronico. Consegno il modulo e spiego ciò che devo fare. Io parlo in italiano, lei in burocratese. Ci mettiamo un pò a capirci, ma alla fine riesco a cambiare il maledetto conto. Ne approfitto per chiedere informazioni sulle pensioni arretrate che devo ricevere da un anno. La risposta, dopo una piccola ricerca, è che serve il numero del fascicolo. Il patronato che ha seguito la mia domanda, dovrebbe chiamare lo sportello inps per conoscere la situazione delle mie pensioni tramite quel numero. Burocratese. La domanda sorge spontanea. Perchè, se digita il mio nome sul computer, non appare tutto quello che mi riguarda per quanto concerne l'inps? O meglio, perchè quando c'è da riscuotere si trova tutto, mentre quando c'è da pagare non si trova mai niente? Tecnologia settoriale.