«In che senso scusi?» chiedo confuso.
«Al check in ha fatto presente di avere bisogno di assistenza?».
«Perchè non si vede?».
«Aspetti un secondo». Si volta stizzita e raggiunge una collega dietro il banco. Prende il telefono e parla per un minuto. Attacca e torna all'attacco: «Sa, siete in due sullo stesso volo. Ci vuole solo un po' di pazienza».
«Rischiamo di bloccare il terminal con questo evento» rispondo ironicamente. Lei incassa e senza degnarmi di uno sguardo, inizia le operazioni d'imbarco per gli altri passeggeri. Arriva l'addetto, toglie i freni alla carrozzina, acchiappa le manopole di spinta e parte, accompagnandosi con un sonoro:«Andiamo?». Superiamo una grande porta a vetri e arriviamo davanti a due rampe in discesa libera. Ripidissime. Contro ogni regola imparata sin'ora, e sono undici anni che studio da disabile, 'l'assistente' gira la carrozzina di 180 gradi e inizia a scendere come se impedisse a un pesantissimo pianoforte di scivolare via. Faticando il doppio e facendomi venire un paio di contratture al collo. Come se non bastasse. Il modo corretto di affrontare una discesa è impennare la carrozzina sulle ruote grandi, e scendere lentamente e omogeneamente senza faticare più di tanto. Lo faccio notare all'assistente che mi spiega il motivo dell'anomalia, a parole sue:«Qualche giorno fa ce n'è cascato uno».
«Che cosa vuol dire 'ce n'è cascato uno'?» lo fulmino con lo sguardo. Non coglie e continua:
«Si, stava scendendo come dici te e gli è scappata la carrozzina. Ammazza che botto!» conclude ridacchiando. Lo fisso senza dire nulla. L'istinto è omicida però.
«Così hanno deciso che dobbiamo scendere in questo modo, è più sicuro». E' così sicuro che, se il tipo scivola io mi faccio un'altra lesione midollare. Sbuchiamo davanti al veicolo che ci porterà all'aereo. Si tratta di un furgoncino con un ampia cabina passeggeri sopraelevata, a cui si accede mediante una pedana elettrica. Cabina che, una volta sotto l'aereo, sale come un ascensore fino al portellone. L'altro ragazzo è già sulla pedana insieme alla ragazza. Altri due addetti parlottano tra loro. Uno sta urlando: «Hai capito che quello è un pezzo di merda?» mi prende in consegna e mi carica sulla pedana continuando a sbraitare «Cambia i turni come vole. Lui al fresco e noi qui a morì de caldo, mortaccisua!». Si posiziona accanto a me e fa segno a Miky di salire. Ora siamo due disabili e tre cristiani su un sollevatore che di norma ne porta uno e uno. Infatti non si muove. Lui urla ancora, perforandomi un timpano. Scende e la pedana si anima, portandoci in cima tra sonori cigolii. All'interno della cabina ci sono delle rotaie dove agganciare le carrozzine per sicurezza, ma mancano i blocchi e le cinture di sicurezza. Metto i freni e mi aggrappo a Miky. Gli addetti continuano a parlottare fregandosene altamente. Almeno il cretino ha smesso di urlare. L'altro disabile ride divertito. Io darei fuoco al veicolo con tutti gli assistenti. Quantomeno avrebbero un motivo valido per urlare. Finalmente ci troviamo davanti al portellone dell'aereo. Un ponticello elettrico unisce la cabina del furgoncino all'aereo. Sembra l'abbordaggio di una nave di pirati disabili. Gli assistenti mi sistemano accanto una sedia stretta di metallo, con due piccole ruote di gomma dietro e una pedana per i piedi davanti. E' la sedia standard che si usa per salire a bordo e passare nel corridoio in mezzo ai sedili. Solo che in tutta Europa è munita di morbide imbottiture sullo schienale e sulla seduta, in Italia no. Ti becchi due belle lastre di metallo che solo a guardarle ti si apre una piaga da decubito. Mi trasferiscono sullo strumento di tortura, basculano leggermente sulle ruote posteriori e ci infiliamo nell'aeromobile. Arriviamo alla fila di posti che ci appartengono. Di solito mi faccio posizionare sul primo sedile. Quello accanto al corridoio. Per facilità di trasferimento, e anche perchè non mi piace volare. Meno vedo meglio sto. Mi comunicano però, che secondo nuove normative, devo sedermi accanto al finestrino per non creare intralci in caso di emergenza. Ma se sto fermo e seduto come faccio a creare intralci? Vengo quindi trascinato, perchè oltretutto non è neanche un operazione semplice, nel posto di mia competenza. Miky finisce di sistemarmi. Sono alto e le gambe entrano a malapena nel posto di classe economica. Devo stare attento altrimenti mi buco le ginocchia. Guardo fuori dal finestrino e vedo i miei bagagli sulla pista, mentre li imbarcano. Non mi era mai successo. Finalmente posso controllare come li trattano. Male. Il bagaglio viene letteralmente lanciato sul tapis rouland di carico. Siamo evidentemente in ritardo. Quest'operazione dovrebbe essere già stata effettuata. Non è normale salire sull'aereo prima dei propri bagagli. La voce del comandante irrompe in filo diffusione negli altoparlanti, per il benvenuto e le notizie di rito. Parla in tedesco. Il discorso va avanti per dieci minuti buoni. Alessia ascolta interessata. La sua espressione non lascia presagire niente di buono. Il comandante ora parla in inglese, ma il discorso in questo caso dura due minuti. Guardo Alessia perplesso:«Ma cos'ha detto prima?».«E' incazzato nero», risponde lei «per colpa dei problemi con i bagagli il volo è in ritardo. Ha maledetto gli italiani e ha detto che farà di tutto in volo per recuperare il tempo perduto».
Maledico anch'io gli italiani, mentre la mia normale paura di volare si eleva al quadrato. Cerco di immaginare come uno possa "fare di tutto" per guadagnare tempo, con un aereo di linea pieno di passeggeri. Non mi risulta ci siano scorciatoie in cielo. Si deve andare da un punto a un altro punto in linea retta. Al massimo qualche viratina qua e là. Il volo procede tranquillamente fino all'inizio della discesa, dove capisco il significato di "fare di tutto". Invece di rallentare planando più o meno dolcemente, l'aereo continua a velocità sostenuta picchiando verso il basso. L'atterraggio dura un attimo. Il comandante arriva puntuale. Io riprendo colore. Nel giro di dieci minuti l'aereo si svuota e arriva l'assistenza germanica. Due ragazzoni biondissimi in divisa si avvicinano, uno di loro dice:«Scusi l'attesa, aiutiamo l'altro ragazzo e torniamo da lei». Resto di sasso. Si sono scusati per l'attesa. L'educazione, quando manca per un po', sembra un sogno. Miky e Alessia si avviano verso l'uscita. Tornano gli assistenti. Con grande attenzione mi trasferiscono sulla sedia da corridoio (morbidamente imbottita) e scendiamo, un gradino alla volta, dalla scaletta dell'aereo. La mia carrozzina mi attende sulla pista, ai piedi della scala. Altro trasferimento e saliamo su un furgone blu. Uno dei ragazzi assicura la carrozzina a delle rotaie simili a quelle del furgoncino italiano, solo perfettamente funzionanti. Mi avvolge con una cintura di sicurezza e mi siede accanto. Ci depositano davanti a una grande vetrata, al di là della quale troviamo i tapis rouland della riconsegna bagagli. I due assistenti ci scortano e ci lasciano di fronte alle nostre borse, che aspettano ordinatamente allineate. Usciamo dall'aeroporto in meno di mezz'ora dal momento dell'atterraggio. Proprio come succede in Italia.
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